Lo Scoop

di Gaither Stewart

 

Novembre 2001

  

Da quando un giornale di San Miguel in lingua inglese aveva pubblicato due suoi articoli, Jerry aveva cominciato a dire alla gente in paese di essere uno scrittore. Questa risposta gli dava una gran soddisfazione perché non c’era altro che volesse di più di essere riconosciuto uno scrittore. Eppure si sentiva spesso a disagio quando entrava nel bar dello sport dietro il ristorante Tex-Mex, dove il sabato pomeriggio si radunavano i letterati per vedere la partita di calcio: sapeva di non essere considerato da loro uno scrittore.

Magro, con il viso scarno, Jerry sembrava un uomo che, dopo molte sofferenze, viaggi per il mondo, e da una profonda riflessione è diventato e ha scelto l’unica strada logica da seguire: la letteratura. Dopo il suo precoce ritiro dall’insegnamento in un’esclusiva scuola preparatoria d’Atlanta, la prima cosa che aveva fatto era stata di non farsi più la barba e lasciarsi crescere i capelli, farsi poi un paio di baffi sottili e il pizzetto. Da quando aveva cominciato a perdere i capelli, tuttavia, aveva preferito il codino, il suo “chignon”.

Durante il primo anno in Messico, il giornale aveva pubblicato la sua recensione su un libro di scambi nell’uso anglo-americano e due mesi dopo la relazione di un’escursione organizzata sul lago Patzcuaro. Per questo aveva cominciato a pensare di essere sulla buona strada per diventare scrittore. Il suo nome era stato pubblicato. Ora, per fare il gran salto, sentiva di dover essere accettato dal clan degli scrittori nella famosa cittadina di soggiorno.

“Allora, è tutto quello che sapete fare ragazzi?!” gridò dal fondo del bar con il suo accento piatto. Il suo modo di dire ‘ragazzi’ era prolungato, come la pronuncia dei cantanti rock. Nonostante la sua entrata chiassosa e amichevole, non pensava fosse decoroso, per degli scrittori seri, stare lì seduti su alti sgabelli ad urlare scongiuri mentre i giants di Notre Dame e degli UCLA lottavano nel campo da gioco e i capi ultrà mostravano i loro bei culetti! Ma del resto, se era scrittore, doveva essere uno di loro.

“Dovresti essere a casa a leggere la Bibbia o Shakespeare o qualcos’altro” scherzò, battendo sulla spalla di Jim Riley, il miglior autore di libri per bambini. Era stato a cena da lui e si era sentito a suo agio. Contava su di lui per far parte del gruppo.

“Bene, abbiamo il nostro giornalista col codino dalla Georgia.” Riley scostò un attimo gli occhi dallo schermo per guardare Jerry, uno sguardo vitreo e superficiale. “Qualche nuova storiella piccante?” chiese, voltandosi di nuovo verso lo schermo.

“Oh, sto lavorando su qualcosa di grande…top secret!” Jerry prese in mano dei fogli, ritagli di giornale e appunti che aveva cominciato a portare con sé durante i suoi giri in paese – dalla posta al bar sullo Zocalo, dalla redazione del giornale alla biblioteca, fino alle banchine sotto l’ombra del Jardin.

C’era cattiveria nello sguardo di Jim? Si domandò Jerry, seccato dalla freddezza del saluto. Si sporse verso il fondo del bancone, salutò per nome Charles O’Grady e Billy Jones e fece un cenno di saluto agli altri che non conosceva. Gli assorti intellettuali risposero con un mugugno distratto. Era imbarazzante. Nascose i fogli su uno sgabello, saltò sopra un altro, accanto a Robert Druard, ordinò una Corona fredda e, imitando gli altri, incollò gli occhi allo schermo.

In realtà non aveva mai amato il football. Non lo capiva. Si girò scomodamente, quasi sfiorando le spalle con Druard, che gli accennò un saluto e gli chiese “Come va?”. Tutti sostenevano che Robert Druard era uno scrittore di racconti di una certa reputazione. O’Grady e Jones stavano quasi sopra il bancone e urlavano contro Druard, i telespettatori gridavano ai Tigers e ai Wolves e scorrevano punti e strategie difensive. Ma Jerry non aveva la più pallida idea di cosa stessero parlando. Voleva fare un cenno col gomito a Druard per commentare, ma non gli veniva in mente niente che potesse riguardare la partita.

Tutti conoscevano Jerry per le sue battute. Chiaccherone e assillante di natura, non smetteva mai di parlare, specie di sé stesso. Benché nella causa di divorzio la moglie avesse dato come motivazione l’incompatibilità di carattere, a lui aveva detto che la ragione fondamentale era semplicemente che non ce la faceva più a sentirlo. E i due figli erano d’accordo: dopo il divorzio non si erano fatti più vedere. Quando Jerry aveva capito d’essere vittima della propria personalità – diceva della sua particolare loquacità – aveva deciso che Atlanta era troppo stretta per lui ed era venuto in Messico.

Si chiedeva se un uomo fosse in grado di cambiare il proprio carattere. Io sono fatto così, si giustificava. Per questo ora si sentiva ridicolo. Come una lancetta che non avrebbe mai segnato, seduto lì sullo sgabello vicino allo scrittore di racconti e senza dire una parola. Aveva fatto male ad andare là.

“Riley, non capisci niente di calcio. Non ha lo sguardo del passante in campo” gridò Druard dal fondo del bancone sbattendo il bicchiere sul piano di quercia. “Ehi, Josè, dammi un’altra tequila e fai il giro per tutti. Stavolta offro io ragazzi!”

Perché non ci aveva pensato? si chiese Jerry. Avrebbe rotto il ghiaccio. Gli vennero in mente i vecchi discorsi della moglie: lui faceva una battuta spiritosa ma pensava sempre a quello che avrebbe detto il giorno dopo. Era bravo con i giochi di parole ma non aveva l’audacia della lotta.

“Grazie, Bob” disse con voce più alta del necessario quando Josè gli servì un’altra birra. “Il prossimo giro tocca a me.”

“Ok!” disse Druard, lanciandogli un’occhiata interrogativa, come se si domandasse chi fosse.

Potevano passare tutti i sabati in quell’incomprensibile gergo sportivo. Sapeva che si trattava di una stupidaggine, solo una scusa per un particolare tipo di cameratismo ma aveva avuto dei problemi ad entrare in quello spirito. Tutto quello che voleva era sedere su una panca con Druard e Riley e parlare di letteratura, ispirazione e creatività. Ma qui la conversazione non si spostava mai dal primo down e dai passaggi completi.

Insegnante d’inglese per gran parte della sua carriera, Jerry aveva deciso di ritirarsi prima, a 52 anni, per scappare dalla vita monotona di Atlanta. Voleva tentare di scrivere e realizzare il vecchio sogno di vivere all’estero. Eppure, a volte, rimpiangeva quella decisione affrettata. Rimpiangeva soprattutto di non aver cominciato prima la carriera letteraria, come Druard. Riley gli aveva raccontato che a soli 19 anni Druard aveva pubblicato il suo primo racconto su un’importante rivista di New York.

Da quando Jerry era venuto in Messico l’anno precedente, aveva sempre detto che i suoi rimpianti sembravano essersi raddoppiati. Che cosa poteva fare? Era troppo tardi per cambiare la sua vita? Dopo tutto non era così vecchio. Aveva sentito dire spesso che non si possono riparare gli errori del passato – il divorzio, l’allontanamento dai figli, le crisi economiche, la mancanza di direzione – tutto questo lo aveva portato a quella miserevole realtà, impossibile da cambiare. Aveva seguito un sentiero confuso che lo aveva portato, volente o nolente, attraverso la vita, a volte nella direzione giusta, altre volte in quella completamente sbagliata, come una debole ragazzina dimentica in una notte il vecchio amore di ieri per quello nuovo di oggi. Tutto era stato fatto. Sentiva una nuova umiltà – per la prima volta aveva imparato cos’era il rimpianto, ma ora ne rimpiangeva la vecchia ignoranza.

Sullo schermo andava in onda la pubblicità di una birra, aveva appena alzato la mano per ordinare il suo giro, quando Riley si alzò in piedi e gridò a Josè: “Riempi il bicchiere a tutti!” Jerry abbassò la mano e si guardò intorno al bancone semi buio. Mezza dozzina di turisti messicani stava bevendo in un angolo, chiacchiera a voce alta e non prestava la minima attenzione allo schermo. Due coppie più vecchie di Gringos stavano mangiando un hamburger e guardavano in malo modo il rumoroso entusiasmo dei tifosi. Il telecronista tornò in onda per discutere i passaggi dei Tiger mentre le squadre si disponevano per un altro kick-off.

Jerry sorseggiò la birra. Sbatté più forte il bicchiere sul bancone e si curvò in avanti per gridare qualcosa a Riley, ma l’autore di libri per bambini stava parlando con O’Grady. Jerry si girò sullo sgabello. Si piegò indietro, sistemò i suoi fogli e cercò in fondo alla memoria qualche elemento di conoscenza calcistica per fare un commento.

Ma non era all’altezza! Cosa si aspettavano le persone da lui, in ogni caso? Guardò gli altri dallo specchio del bancone e ammise che le sue relazioni sociali erano sempre state superficiali. Sospirò. La solitudine era il suo vero destino. Non poteva stare a casa. San Miguel rimaneva un luogo estraneo per lui. Era stato escluso dal circolo degli scrittori perché non capiva niente di calcio. La sua era la solitudine dell’artista: incompreso, un paria, un eremita nel mondo delle idee.

Fissando lo schermo non si accorse che un ricevitore stava facendo un passaggio singolo per un altro touchdown. I tifosi dei Wolves si strappavano i capelli. “I Tiger passano” gridò isterico il cronista. I punti scendevano. Stavano riscrivendo la storia dello sport. Gli scrittori gridavano da un lato all’altro del bancone. Druard stava in equilibrio sui pioli dello sgabello, appoggiato al bancone.

Jerry agitò la birra nel bicchiere. Rimase in silenzio. Come avrebbe potuto andarsene senza che nessuno se ne accorgesse? Si mosse e guardò su e giù per il bancone. Un sacco di gente si era radunata alle sue spalle. I Gringos stavano pagando. Gente appena arrivata stava aspettando. Scivolò dallo sgabello e andò al bagno.

Quando tornò, un giocatore dei Tiger stava correndo da un lato all’altro del campo e Druard gridava: “E’ lì, idiota, è solo, dagli quella maledetta palla!” Jerry si abbassò e prese i fogli proprio davanti all’enorme Druard che, ancora in piedi, gridava contro lo schermo: “E’ lì, passala, passa la palla figlio di puttana!”

Una volta fuori dal locale, Jerry tirò un sospiro di sollievo. Era mortificato. Stare lì seduti senza dire niente era stato umiliante. Perché non aveva potuto offrire almeno un giro di bevute? Camminò fino al Canal con lo sguardo pensieroso sul volto magro. Guardò in alto: i giorni invernali quell’anno erano veramente belli. Il cielo limpido formava delle ombre tra gli alberi del Jardin creando giochi di luce. Al contrario del bar Tex-Mex, uno strano silenzio avvolgeva San Miguel.

Sabato pomeriggio! Non poteva affrontare il suo appartamento vuoto. Poteva andare da Miranda, anche se la loro relazione si era interrotta dall’ultima visita fatta alla famiglia di lei a Mexico City. Ma sì, doveva fare qualcosa! Ritornò sui suoi passi, giù per il Canal, scese lungo i Zacateros, girò per Pila Seca, passò davanti la pensione dove una volta aveva vissuto, passò lo studio del dottore che curava i suoi frequenti mal di stomaco – spesso mangiava nelle cucine di strada dove mangiavano i messicani, convinto che avrebbe sviluppato a mano a mano un’immunità ai batteri locali che sembravano costituire una piaga solo per gli stranieri – e continuò fino alla nuova zona residenziale, dove Miranda aveva una piccola casa in affitto. Col dito sul campanello, pensò di nuovo che non sarebbe dovuto andare là. Suonò.

Sulla porta, con a fianco il suo bulldog, Miranda sembrava intimidita. Con i tacchi alti e i lunghi capelli biondi raccolti, era più alta di Jerry. Gli piaceva quella sensazione d’inferiorità fisica. Miranda Ortega, figlia del Generale messicano, apparentemente assomigliava al padre più dei suoi nemrosi fratelli: decisiva e autoritaria, era abituata a comandare. Sebbene non ci fossero basi per una loro relazione, l’atteggiamento altezzoso di lei lo attraeva inesplicabilmente.

“Bè, non ci vediamo da un po’” disse lei nel suo buon inglese. “Da quando siamo tornati da Mexico City!” Intendeva lei, la figlia dodicenne del suo precedente matrimonio, Luisa, il cane Antonio e Jerry. Lo guardò freddamente come per misurarlo mentre tratteneva il cane che, affezionato a Jerry, voleva saltargli addosso come sempre.

“Eh già,” cominciò Jerry. Aveva sempre voluto parlare in spagnolo, ma avevano poi scelto l’inglese, perché Miranda lo parlava bene. “Sono stato un po’ occupato al giornale e a scrivere e… beh, sai Miranda, non credo che io piaccia alla tua famiglia.” Aveva spiattellato quello che da tanto aveva voglia di dirle: la visita alla casa natale di lei, a San Angel, ostentato quartiere della capitale, era stata un disastro.

Avevano dormito insieme per alcuni mesi, poi Miranda gli aveva chiesto di andare con lei e Luisa al compleanno di una delle sue sorelle. La tanto attesa visita di 36 ore alla villa del Generale Ortega si era trasformata per Jerry in momenti di tensione e di imbarazzo. I giorni e le settimane successive aveva poi capito di aver sbagliato tutto: il fotografare sempre la famiglia, le continue richieste di posare per lui, la sua ostinata insistenza a parlare un orrendo spagnolo con l’accento da principiante al tavolo di una famiglia che parlava correttamente l’inglese.

Il Generale Ortega, uomo duro del mondo militare, stravedeva per la figlia bionda. Non aveva mai nascosto di considerare la sua relazione con il Gringo un errore. Il fratello di Miranda, Alvaro, uno scrittore affermato, stava seduto quasi tutto il giorno in un angolo da solo e si limitava a grugnire se Jerry provava a parlargli. In verità era la principale ragione per cui Jerry era voluto andare a Mexico City: parlare con un brillante uomo di lettere messicano. Miranda gli aveva detto che Alvaro meditava e poteva stare un’intera giornata su un solo capitolo. Jerry arrossiva ancora quando ricordava la sua risposta scortese: “Forse non conosce il significato dell’ispirazione.”

“E’ la tua immaginazione” stava dicendo ora alla porta. “Ma sai come sono le famiglie messicane...” Jerry aspettò, ma lei lasciò la frase a metà. “Vuoi entrare?”

“Solo un minuto” Jerry gettò le sue cose su una sedia e si lasciò cadere sul divano, le gambe distese di proposito in modo familiare. Antonio subito gli saltò addosso, leccandogli le mani e sbavandogli sui pantaloni. La testa all’indietro, gli occhi mezzi chiusi, le mani che cercavano di frenare l’entusiasmo del cane, Jerry vide la rabbia sul volto di Miranda e ne capì il motivo: stava pensando che lui era un estraneo lì.

“Beh, almeno Antonio gradisce la mia presenza. Penso che abbia bisogno di un uomo intorno.” Subito si rese conto di aver detto le parole sbagliate, mentre le pronunciava. Umiliato dal suo comportamento codardo al bar degli scrittori, Jerry aveva bisogno di sentirsi rassicurato. Come era fredda lei! Come se non avessero mai diviso quella stanza da letto là dietro. Che giorno degradante! Prima gli scrittori e adesso lei!

Jerry aveva vissuto troppo poco nel mondo latino per capire che qualsiasi accenno di machismo fatto ad una donna messicana emancipata era una dichiarazione di guerra. E lui, inoltre, aveva preso il meglio di Miranda. Era un pezzo di ghiaccio, irresistibile, forse avida, ma forte e determinata. Sembrava aver trovato una grande forza nei momenti passati di stress e di crisi che lui non avrebbe mai capito. Più di una volta aveva cercato di spiegargli che proprio quel machismo era stata la ragione per cui aveva divorziato dal marito e si era trasferita in provincia. Rifiutava qualsiasi forma di dipendenza maschile, fatta eccezione per il rapporto con il padre che adorava e dal quale accettava un aiuto economico.

“Allora, come vanno i tuoi scritti?” gli domandò, sedendo su una sedia di fronte, le sottili labbra increspate, il mento alto, lo guardava come se la cosa in fondo non le interessasse.

“Butto giù qualcosa ogni giorno” rispose, allontanando la bocca d’Antonio, preoccupato che la saliva del cane potesse portare l’epatite. “Ma è difficile. Credevo di aver molto da dire. Poi, la mattina quei pensieri sembrano svanire. L’ispirazione arriva a stento.”

Quanti giorni sedeva nel suo appartamento aspettando l’ispirazione. Oppure scriveva due o tre righe e subito buttava via il foglio, pensando che se ci aveva messo tanto a scrivere quelle righe, allora era di merda. Cominciò a dire che avrebbe aderito al circolo degli scrittori e che stava trovando ispirazione dal reciproco scambio di idee con altri letterati – ma poi si ricordò che Miranda ne conosceva un paio e avrebbero potuto raccontarle una versione diversa.

“Eppure è per questo che sono qui. A San Miguel, intendo. Intendo dire che ho bisogno di ispirazione per riuscire ad esprimere il mio inconscio.” Sospirò ed assunse un’aria tragica. Sembrava così banale raccontare a qualcuno, raccontare a lei, com’era lui veramente. Anche lui era venuto a San Miguel alla ricerca della libertà, dell’indipendenza e della libertà di pensiero che non aveva mai avuto – prima di allora. Era importante. Ogni giorno diceva a sé stesso che doveva liberarsi della propria coscienza nella quale credeva aver creduto troppo. Alcuni giorni sarebbe voluto rimanere a letto fino alle 10 senza che gliene importasse. Chi c’era a controllarlo? Però spaventava. Il suo senso di solitudine aumentava proprio perchè nessuno lo controllava. Nessuno aveva bisogno di lui perché nessuno conosceva le sue qualità.

“Sei così silenzioso, oggi, Jerry. Sembri solitario. Forse non sei abbastanza impegnato!”

Era vero. La sua solitudine era aumentata da quando aveva smesso di trascorrere le notti da lei. Aveva accentuato il suo isolamento e aveva intensificato il vuoto nella sua mente. Quando le mattine non c’erano parole degne di essere messe su carta, e la solitudine lo soffocava, si chiedeva: dove sarebbe finito? A cosa sarebbe potuto tornare? Solo una persona solitaria sa apprezzare la casa, quel puntino sul pianeta tutto suo. Ma lui, cosa avrebbe potuto fare per la sua vecchia casa? Aveva fallito in tutto. Nessuno aveva bisogno di lui laggiù. Chi aveva bisogno del suo cuore? Pensava soprattutto nei momenti più amari. Non aveva niente da riportare via con sé, da mostrare e dire: “Questo è quello che ho fatto, questo sono io.” No, non aveva nessuna possibilità. E se fosse semplicemente svanito e non avesse lasciato niente? Che cosa sarebbe significato? Niente. Senza un risultato straordinario, non c’era ritorno.

Per gli scrittori era così. Lasciavano qualcosa dietro di loro. Solo lo scrivere sembrava essere in grado di mantenere per lui la promessa. Sarebbe stato l’estremo risultato della sua vita. Per questo aveva bisogno di un pezzo importante che lo lanciasse. Aveva bisogno di uno scoop! Lo scoop di una vita!

“Mi sento solo e ho bisogno di sentirmi parte di qualcosa,” disse, rammaricandosi di nuovo per averlo ammesso. Le parole erano audaci ma umilianti. Ammettevano la verità prima di lui. “Sembra proprio che non abbia il coraggio di vivere come un lupo solitario, là fuori, in un mondo dove le persone non hanno mai contato niente. Deve esserci un po’ di solidarietà nella vita.”

Miranda lo guardava senza rispondere.

Erano giorni tristi, rifletté Jerry. Giorni decisivi. Sapeva che gli mancava l’immaginazione per ritrovarsi pericolosamente da solo. E si consolava con un pensiero ricorrente: sarebbe rimasto aggrappato qui, a San Miguel, finché era possibile e se non fosse successo niente, un giorno sarebbe tornato di soppiatto ad Atlanta e avrebbe preso qualsiasi cosa avesse trovato.

Intanto lo scoop lo tormentava. Lo scoop lo avrebbe redento. Ma quale scoop, quando non aveva niente da dire e conosceva a stento il luogo dove viveva? Riusciva a stento a capire la donna che aveva di fronte.

“Ispirazione!” percepì dell’ironia voce di MIranda. “Sei un poeta? I poeti hanno bisogno di ispirazione. Non sei un giornalista tu?”

“Sono uno scrittore, non un giornalista. Non è la stessa cosa.”

“il giornale ha pubblicato due tuoi articoli. Quindi tu sei un giornalista, Jerry. Almeno fino a quando non scriverai qualcos’altro. Il Messico è un paese così grande, Jerry. Scrivi qualcos’altro per quel piccolo giornale.”

Oh, come sapeva far pressione, lei!. La diavolessa! Il piccolo giornale! E il modo con il quale pronunciava ‘Jerry’, così rauco. Questa era un’altra ragione per cui odiava il suo nome: era così comune, in realtà. Avrebbe desiderato un nome esotico, o doppio o qualcosa dal fascino latino, come Roman o Rafael. Ma Jerry? Ridicolo.

Antonio si era appisolato con la testa sulle ginocchia di Jerry. Grattava dolcemente dietro l’orecchio del cane, gli venne in mente all’improvviso l’idea della guerriglia che aveva letto quella stessa mattina al bar. C’era una storia vera, ora. La sua natura clandestina! La violenza. Le atrocità. Una rivoluzione vicina! Proprio sotto gli occhi di tutti e nessuno ne sapeva molto. Una storia che lui avrebbe potuto scrivere per primo. Sarebbe stato un nuovo Jack Reed. Servizi dalle Chiapas meridionali e dallo stato di Guerrero, non lontano da Acapulco. Avrebbe unito le due cose: una visita ai guerriglieri e una breve vacanza sulla costa dove avrebbe scritto il suo primo racconto, nascosto in qualche romantica stanza d’albergo. Un’economica stanza buia, con un ventilatore al soffitto, leggere tende sudicie mosse dalla brezza e un rubinetto rotto nel lavandino. Avrebbe ordinato caffè nero e bottiglie d’acqua minerale. L’alba lo avrebbe colto in disordine, la stanza un relitto, il suo scoop salvo e al sicuro nel suo portatile sul piccolo tavolo dietro le tende adesso ferme.

“Se ho intenzione di sfondare, devo fare qualcosa di sensazionale. Sai, Miranda, qualcosa che nessun altro ha. Intendo uno scoop.”

“Se non sei un giornalista, perché hai bisogno di uno scoop?”

“Come ho detto, per sfondare. Per farmi un nome. Ho bisogno di notorietà.” Non aggiunse che lo scoop gli avrebbe anche aperto la porta del magico circolo letterario. Il suo giornalismo era inutile. Nessuna nonna avrebbe raccontato le storie. Non erano abbastanza brillanti.

“Forse una visita ai guerriglieri sulle montagne.”

“Bè, molti giornalisti stranieri scrivono dell’Esercito Rivoluzionario Zapatista ma molti ignorano il Movimento Rivoluzionario Sotterraneo a Guerrero. E quella zona è sotto il comando del Generale Ortega,” disse lei, riferendosi come sempre al padre con il titolo militare “tutti in paese li conoscono ma non puoi raggiungerli senza un’autorizzazione militare. Posso procurartela io.”

“Ma non gli piaccio!”

“No importa. Lo farà, se glielo chiedo io.”

Che strano. Non sapeva niente sulla politica messicana. Non se n’era mai interessato. Non leggeva i giornali messicani. Prima di allora aveva letto solo qua e là della guerriglia silenziosa di gruppi ribelli nell’entroterra. La stampa americana aveva scritto solo sugli Zapatistas, sui politici corrotti, sul traffico di droga e sulle morti misteriose di giornalisti messicani ficcanaso e dei desaparecidos. Nell’esercito si erano accusati di atrocità l’un l’altro.

E come avrebbe fatto a parlare con i ribelli, anche se li avesse incontrati? Il suo spagnolo era orribile. Se Miranda avesse parlato solo spagnolo come voleva lui! E poi l’operazione non sarebbe stata economica. Che vergogna, che perdita, lasciare libero uno scoop del genere ad un piccolo giornale di lingua inglese. Questa era la sua grande occasione. Lo scoop! Aveva bisogno di qualcosa di interamente nuovo, un posto del tutto nuovo dove avrebbe iniziato da capo la sua vita. Un salto nel vuoto. Un trampolino di lancio. Aveva bisogno dello scoop per sopravvivere.

Eppure andare nell’entroterra di Guerrero sotto la protezione di uno spietato esercito fuorilegge era sentirsi come gli astronomi che viaggiano verso un pianeta lontano che esisteva solo secondo la loro teoria. Si rompeva la testa in problemi. Che cosa stava facendo ad ogni modo? Cosa ne sarebbe venuto fuori? E la fama avrebbe fatto di lui uno scrittore?

“Ma non ho le credenziali giornalistiche da parte del Ministero degli Esteri. Chi mi proteggerebbe?”

“Non ti serviranno le credenziali, se organizzerà tutto mio padre. L’esercito conosce i ribelli e i ribelli conoscono i militari. Il Generale Ortega può organizzare l’incontro.”

Era troppo facile. Jerry era stato sempre un insegnante. Era sempre stato un americano obbediente. Si allacciava la cintura di sicurezza in macchina anche per andare a prendere il pane dietro l’angolo, rimaneva sulla linea alla fermata dell’autobus, rimaneva seduto finché l’aereo non si fermava del tutto, credeva nella Costituzione. E se ancora oggi non conosceva quasi per niente il Messico, non era del tutto ingenuo. Lui, che aveva la fede del buon americano nell’ordine e nella giustizia, cominciò a pensare strane cose: la sorte ed il destino erano decisivi nella vita dell’uomo. In Messico a volte si era domandato anche se non c’era del vero nel fato. In Messico, forse più che nella giustizia. Dove lo avrebbe portato il destino? A morire in un luogo remoto, sconosciuto e ignoto? La possibilità di una nuova vita nella sua solitudine – e ora in questo crescente senso di illegalità messicana – sembrò per un momento un’illusione. Malinconica illusione. Qualcosa di lontano e irraggiungibile.

Dalla sua terrazza la vista della scia infiammata che precipitava verso l’orizzonte della Sierra sottolineò la sua sensazione di abbandono. E’ il momento, pensò, di esaminarsi seriamente – perché IO SONO SOLO. Se la gente pensava che nella vita aveva avuto a che fare per lo più con sé stesso, la verità era che non si era mai veramente guardato dentro. Eppure temeva che ormai fosse tardi per cominciare ad analizzarsi – che sarebbe stato, sapeva, il primo passo verso la creatività. Ma valeva la pena? Aveva avuto abbastanza illusioni e altrettanti raggiri. Dove sarebbe finito ora?

Per questo e contraddittoriamente, aveva riposto le speranze per una nuova vita nella conquista della notorietà. Perché in verità non era nessuno qui. Di sicuro non era un eroe. Ma poteva tentare, no? Non era sempre apparso coraggioso agli altri a casa, ad Atlanta? Venire in Messico ne era stata la dimostrazione. Era coraggioso! Correre a destra e sinistra, trovando apparentemente il tempo per ogni cosa. Immaginò se stesso dopo un simile atto di coraggio. Curvo sul suo vecchio computer in agenzia, scriveva racconti per la stampa. Stava scrivendo sugli attuali problemi del Messico. Mandava lettere ai suoi agenti ed editori. E, nel pomeriggio, era lì, a chiacchierare tranquillamente con i suoi informatori in caffè discreti e bar affollati.

Nonostante tutto, però, la paura c’era e stava salendo dall’intestino. Si teneva al parapetto come se ne dipendesse la vita – era un uomo solitario che barcollava sull’orlo, costretto dall’insieme di circostanze impreviste e imprevedibili ad affrontare il proprio destino. La sua vita, in quella fase, stava giungendo ad un atto sorprendente del destino? Ad un finale nelle praterie occidentali della Sierra Madre?

Mentre fissava ad ovest la luce del sole cadente, era guidato, con timore e ad intervalli, in un vicolo cieco del suo sogno di fama. Il sogno smorzò quel po’ di scetticismo che aveva. “Se è vero che lo scetticismo è un’arma” ammise “allora sono indifeso.” Allo stesso tempo, un nuovo fattore emerse. Si rese conto che in fondo alla propria natura era rimasto nascosto uno spirito di vendetta: vendetta che ora chiedeva soddisfazione. La vendetta per il passato che non aveva mai controllato. Vendetta per quel sistema di ordine e giustizia che lo aveva circondato talmente da non poter mai controllare se stesso. Fissando dal davanzale i raggi del sole naufragante, sembrava che una serie di fallimenti, la sfortuna e il destino spietato aveva infettato la sua vita. Voleva rischiare.

L’umanità era divisa tra l’onesto, il buono, il giusto e l’uomo pieno di successo da un lato e, dall’altro, gli arrampicatori e i perdenti che barcollavano nella vita, sperando in una pausa della suprema divinità della fortuna. Aveva sempre creduto di appartenere al primo gruppo. Oggi ne dubitava. Per la prima volta vide l’ombra, il contorno indistinto, la pura allusione a sé stesso come ad uno sciocco e, allo stesso tempo, solo debolmente, come ad un uomo del destino. Una dualità contraddittoria. Dove lo avrebbe portato il suo sentiero tortuoso?

Il giorno successivo Miranda andò a casa sua. Aveva parlato con il Generale Ortega. Era tutto organizzato: Jerry doveva solo raggiungere il quartier generale nella capitale dello stato di Guerrero. Chilpancingo era una fredda città a 1000 metri di altitudine tra Mexico City e Acapulco, 130 km a sud, che avrebbe raggiunto facilmente con l’autobus in una giornata. Avrebbe trovato un grazioso albergo per la prima notte, poi il Generale Ortega si sarebbe preso cura di lui.

“Perfetto!” il sole luminoso del mattino sulle zone montuose lo riempì d’ottimismo. Se i ribelli erano lì nelle montagne circostanti, non sarebbe stato così difficile incontrarli. Il Generale Ortega manteneva molto probabilmente un contatto continuo con i capi ribelli.

“Partirò domani”, gridò “Puoi dire ai Generale Ortega che mi presenterò da lui dopodomani mattina.”

“Il dado è tirato” ripeté tra sé mentre camminava per la città. Jerry non era sicuro se seguire la strada della giustizia o il volubile dio Destino, ma tutto era stato deciso.

Bisbigliò al capo editore del settimanale locale dello scoop che presto avrebbe presentato, ma che sarebbe dovuto restare un segreto finché non avesse avuto la storia in salvo fra le mani. Telefonò a Riley per dirgli che stava lavorando a qualcosa di sensazionale – l’avrebbe messo al corrente nei dettagli al ritorno, tra una settimana circa.

Quella sera preparò la valigia con una maglietta colore kaki e pantaloni, scarpe pesanti, un cambio di biancheria e una bandana rossa che piegò con particolare cura. Per le montagne e la giungla aggiunse una zanzariera e il repellente contro gli insetti, il disinfettante per l’acqua e gli antistaminici per le sue allergie. Per Acapulco, prese dei calzoni corti, costume e abbigliamento da mare. In una piccola borsa mise due macchine fotografiche e alcuni rullini, a colori e in bianco e nero, un registratore con  cassette, radio, binocolo, mappe della regione che avrebbe studiato sull’autobus, bloc notes e materiale per scrivere. Avrebbe portato il portatile nella valigetta a tracollo.

Il mattino successivo, vestito in colore cachi e indossando un capello nuovo di Panama, il suo computer che oscillava dalla spalla, Jerry salì sul primo autobus per Mexico City. Oggi poteva ridere della curiosa abitudine messicana di disegnare tutte le tendine dei finestrini degli autobus di prima classe. Malgrado l’oscurità, si sentiva spensierato. Non aveva mai preso in considerazione la possibilità di tornare indietro. Gli avvenimenti non erano sotto il suo controllo per molto.

“Documento!” lo accolse l’ufficiale addetto all’ufficio stampa, un ometto baffuto, in un’ampia stanza accanto alla Reception nel Palazzo del Governo a Chilpancingo. Tendeva la mano impaziente e sembrava misurare Jerry con un certo divertimento negli occhi prima di leggere attentamente una lunga lista di nomi. “ah, sì, esta su nombre – Scott, Gerald, Verdad!Periodistas?” disse con un sorrisetto

“Escritor!” rispose Jerry

“Por supuesto! Oh, vedo che avete un itinerario speciale. Perdone Ud.”

“Cuando puedo…” cominciò Jerry. Poi, in inglese: “Quando posso vedere il Generale Ortega?”

“Domani a mezzogiorno. Dopo che gli altri giornalisti andranno a visitare il nostro meraviglioso paese.  Poi vedrà il Generale. Da solo, naturalmente.”

“Naturalmente.”

Quella sera, comodamente alloggiato presso l’albergo coloniale di fronte al Palacio de Gobierno e alla gigantesca scultura bronzea intitolata “El Hombre Hacia el Futuro”, l’Uomo Rivolto al Futuro, Jerry telefonò a Miranda a San Miguel Allende per dirle che aveva fatto un buon viaggio e per ringraziarla di aver organizzato l’incontro con il Generale Ortega.

“Dalla mia finestra dell’Hotel Centrale” le disse in un’insolita voce sottile “posso vedere le montagne. Tutto va nel migliore dei modi. Incontrerò il Generale Ortega domani a mezzogiorno.”

Il mattino successivo, a colazione, Jerry non c’era. Sembrava non avesse pernottato in albergo. O, come se fosse andato a fare un’escursione turistica, stesse aspettando la coincidenza per la meta finale. Si era svegliato molto presto. Il suo umore era abbastanza frivolo. Ma lontano. Era cosciente di non percepire alcuna tensione. Proprio nessuna traccia di paura. A stento pensava dov’era. Sembrava che la ragione per cui stava lì gli sfuggisse. Quasi come un ripensamento, vagò per l’affollata strada dietro il Zocalo alla stazione degli autobus Estrella de Oro. Come se avesse difficoltà a preoccuparsi personalmente, annotò le partenze per Acapulco, sorprendendosi che gli autobus partissero ogni ora. Andò al bagno pubblico, comprò un giornale, prese un caffè con brandy in un caffè all’aperto vicino al terminal; l’esercito di guerriglieri, le montagne e il Generale Ortega erano lontani dalla sua mente, quasi non esistessero. Erano fuori dalla sua portata come lo era il Messico stesso. Per un istante ripensò che doveva solo entrare nell’edificio governativo e chiedere del Generale e anche la morte avrebbe partecipato all’incontro. Una volta per tutte.

All’hotel controllò l’orologio un centinaio di volte. Andò di nuovo al bagno. Aveva ancora la sensazione di una calma interiore mentre controllava alcune cose, metteva il portatile sulla spalla, e scendeva giù per lasciare l’albergo.

Davanti all’entrata del palazzo governativo si fermò, poggiando le borse a terra. Osservò le guardie e le persone entrare ed uscire. “Dove sono gli altri giornalisti oggi…i periodistas?” Chiese ad una giovane guardia.

“Ya se fueran” erano andati via. La guardia alzò le spalle e se ne andò.

Jerry guardò di nuovo l’orologio, lo agitò e lo avvicinò all’orecchio. Era mezzogiorno. Se ci fosse stato almeno un altro giornalista con lui! Avrebbero viaggiato insieme fino alle montagne. Ma, come sempre, era solo. Fissò la guardia, assente con la mente. Guardò su e giù per la strada. Una sensazione di leggerezza si impossessò di lui, si sentiva semplice osservatore degli eventi. Alzò le spalle, andò alla stretta porta d’ingresso e chiese del Generale Ortega.

Alla finestra di una stanza spoglia, proprio dentro il patio, una vecchia guardia con delle strisce sulle maniche prese il passaporto, lo fissò per un lungo momento, prima di mettere il documento in un cassetto, gli diede un pass di plastica e ordinò al soldato di scortarlo al piano superiore.

Come un automa, Jerry seguì obbediente sulle larghe scale. Era nelle loro mani. Doveva solo seguire le istruzioni. Un magro e pallido ufficiale dal contegno serioso stava davanti l’ampia porta dell’ufficio al secondo piano.

“Prego, si accomodi, signor Scott. Sfortunatamente il Generale Ortega è stato chiamato per un incontro urgente con il Generale Staff. Mi ha chiesto di metterla al corrente della situazione miliare qui e darle tutta l’assistenza necessaria per il suo incontro con i ribelli.” Il piccolo e delicato ufficiale parlava un inglese impeccabile: la classe superiore messicana studia nelle migliori università americane.

“Prima di tutto, ho per Lei la lettera di presentazione del Generale Ortega al comandante della guerriglia della zona che noi consideriamo relativamente sicura della provincia. Inoltre, sono felice di informarla che il Comandante Arturo, a quanto sembra, parli un buon inglese. Questo dovrebbe facilitare la vostra, ehm, missione.”

Jerry stava facendo un gran sorriso e si rese conto da solo che appariva idiota. Capì a stento le parole dell’ufficiale, sempre per quella sua continua sensazione di lontananza. Non aveva detto una parola, come se non fosse interessato. Che cosa significava tutto questo, comunque? Da quando aveva lasciato San Miguel Allende tutta la sua volontà sembrava averlo abbandonato. Si era limitato a mettere un piede davanti all’altro e a trascinarsi. Il cambiamento era fuori questione. Aveva preso l’autobus scuro per Mexico City. Come un robot, aveva cambiato alla stazione Nord ed ora era lì, con una lettera per il capo dei ribelli in mano. Volente o dolente, il giornalista investigatore stava per fare il salto nel buio.

“Peccato, non potevo viaggiare con gli altri giornalisti,” borbottò, guardando nelle mani la lettera del generale.

“Oh, bene, un piccolo dettaglio” disse l’aiutante, con un sorriso beffardo “la loro è poco più di una gita turistica. Sa, pranzi con le autorità, visite ai siti agricoli, quel genere di cose. Invece lei sta andando a vedere una cosa reale. Solo lei potrà incontrare un capo ribelle. Ora, Senor Scott, questo è il piano. La vostra meta è il villaggio di Los Altos sulla Sierra Madre del Sur. L’autobus per Puerto del Gallo che ferma a Los Altos parte dalla stazione alle 15 – il che vi dà un ampio arco di tempo per mangiare nella nostra tranquilla città. Arriverà in un paio d’ore. Ora, alla stazione del carburante dove c’è la fermata dell’autobus, dovrà chiedere del Comandante Arturo. Qualcuno la verrà a prendere. E, oh, non si preoccupi se la bendano o la portano in giro per ore. E’ un loro sistema di sicurezza, capisce.”

Jerry ascoltava distante. L’aiutante aveva uno sguardo divertito “Allora, sono chiare le mie istruzioni?”

“oh, sì, chiare.”

“Comunque, andrete su montagne abbastanza alte.” Lo sguardo divertito dell’ufficiale scese dal cappello di Panama di Jerry ai suoi eleganti pantaloni color chachi “Fa abbastanza freddo di notte, sapete?”

“Bene” disse Jerry.

Comincio a sentirmi a casa mia in questa città, pensò Jerry vagamente mentre tornava alla stazione degli autobus. Era lì da solo 18 ore ma la familiare strada principale e gli edifici ufficiali creavano intorno a lui un’atmosfera di sicurezza. Poteva essere su Peachtree Street ad Atlanta vicino ai Five Points. Avrebbe preso la metro fino a Buckhead, magari per pranzare in uno dei ristoranti italiani. Il divorzio, la separazione, l’estraniamento non erano esistiti. Si rese conto di quanto fosse facile dimenticare San Miguel e Miranda e, sì, anche il piccolo giornale, e anche gli scrittori. Se non fosse stato per quell’attanagliare le budella, il richiamo della cosa assurda che si era proposto di fare, desiderava fare e stava facendo. Cosa gli importava della guerriglia? E dell’arrogante Generale Ortega?

Mentre attraversava la strada dalla stazione degli autobus, si fermò di scatto e mise giù le borse, come se in un istante di chiarezza avesse realizzato che non aveva pensato affatto al vero Generale Ortega. Sapeva solo che il padre di Miranda lo detestava. Ma chi era il Generale, comunque? Ortega era niente di più che un ambizioso, cinico illegale, autoritario reazionario, che voleva fare patti col diavolo per i propri scopi. Perché quell’uomo, senza un secondo fine, poteva offrire una vittima ai ribelli? Per tenermi fuori dalla vita della sua preziosa figlia! Per sempre. Senza un secondo fine. Io non sono nessuno. Nemmeno un giornalista ufficiale. Come potrebbe proteggermi il governo? Ho solo seguito le istruzioni di Miranda. Forse… può darsi … che anche lei ne sia coinvolta?

Lentamente attraversò la strada, guardò gli autobus con i loro gas, i camion su di giri e i taxi schiamazzanti. Nell’atrio principale continuò ad esaminare la tabella delle partenze. Eccolo lì: Estrella del Norte, Acapulco, ore 15.00, piattaforma numero 1. E più giù, sotto gli autobus locali e le linee minori, Nacional, Puerto del Gallo, ore 15.00, piattaforma 32.

Le borse poggiate vicino ai piedi, il pesante portatile alla spalla, per un momento ammise che avrebbe voluto solo mettersi in mostra come non aveva mai avuto occasione di fare durante la sua vita tranquilla e al sicuro a casa. Era l’allettante idea di correre dei rischi. O fare qualcosa di straordinario. Ora o mai più. Si guardò i piedi e si disse che ora, una volta per tutte, doveva scegliere cosa essere: attore o osservatore. Eppure sentiva che qualsiasi decisione sarebbe stata sbagliata. E d’altro canto, cosa aveva deciso mai veramente nella sua vita? Lo stesso venire in Mexico difficilmente poteva essere considerata una decisione. Quando aveva riferito la decisione di trasferirsi in Messico, la sua ex moglie aveva sostenuto che era solo costretto a fuggire. Come aveva fatto da qualsiasi piccolo conflitto della loro tranquilla vita in Buckhead.

Con un sollievo, sentì tornare quella gradevole sensazione di lontananza. Mentalmente era restio. Era ancora via, lontano. Stava fluttuando lontano dalle cose familiari, , lontano dal suo passato familiare, lontano da sé stesso.

Jerry mise la mano nella tasca dei suoi safari. Estrasse la lettera del Generale Ortega, la fece a pezzettini, e la gettò in un cestino. Una lettera dal loro nemico sarebbe stata disastrosa se fossero stati veri guerriglieri. Se no, non ne aveva bisogno. Si sistemò il cappello alla Panama, la tracolla del suo portatile sulla spalla, prese le due piccole borse, camminò verso il fondo della stazione degli autobus, e, con una nuova elettricità ai piedi, saltò a bordo di uno sgangherato autobus per Puerto del Gallo.

Gaither Stewart GaitherStewart@libero.it