Port Town

di Yves Jaques

Pete si guardò i piedi appena scavalcato il margine della strada. Le strade a ciottoli lo avevano steso poco prima, lasciandolo completamente senza respiro. Se n’era stato sdraiato sui sassi a tenersi il petto con Jake sopra che gli urlava "Ma che cazzo stai facendo lì?"

Le ginocchia gli bruciavano ancora nel punto in cui s’erano sbucciate sulle pietre quando Jake lo aveva trascinato fuori dalla strada. Lo aveva tirato al bordo come se avesse fatto scorrere traendola su dalla risacca una lattina di gamberetti. E per tutto il tempo i conducenti se n’erano stati a pigiare i clacson in una sinfonia pazza.

"Allora, che ci facciamo qui?" chiese Jake, la testa girata ad osservare un gruppo di donne che attraversavano la strada.

"Stiamo camminando."

"Ne sei proprio sicuro?"

Pete lanciò a Jake un ghigno. "Senti canaglia, e se ti tirassi su io e ti trascinassi per la strada in largo come hai fatto tu?"

"Non è stata colpa mia."

"Già, già. La ragione è sempre tua."

Ce la fecero ad attraversare la strada e salirono sul cumulo al margine, la testa di Jake ancora allungata sulla spalla. Si stavano avvicinando ai nightclubs, la musica e la gente fluivano dentro e fuori dalle porte, le chiacchiere e le risate rotolavano a ondate come un frangente che si spacca nelle vicinanze. Superarono un gruppo di ragazze dai capelli biondo bruciati, bianchi contro il biscotto della pelle.

"Hai visto quella?" chiese Jake.

Pete faceva scorrere i nomi dei nights dall’altra parte della strada.

"Hai visto quella?" ripeté Jake.

"Paco paco, ci sono già stato, Marilyn’s mi sono fatto la tipa, Cayman’s mi sono fatto
quell’altra, Jake, che cazzo ci facciamo qui?"

La testa di Jake era ancora allungata verso sinistra. "Ehi guarda, hai visto che razza di culo ha quella?"

"Jake, avevano il colore delle aragoste." Pete si fermò sul marciapiede e lo afferrò per il
braccio. "Che facciamo?"

Jake allontanò lo sguardo dalle donne che si stavano ritirando. "Che facciamo? Che facciamo? Piagnucoli proprio come il mio fratellino."

"Vaffa’n culo. E’ la nostra ultima notte. Sai bene che siamo stati ovunque e cosa ci abbiamo guadagnato? Niente. Paco Paco, Marilyn’s, Cayman’s-"

"Lo so, è meglio trovare un posto nuovo."

Due ragazzine indiane molto giovani si avvicinarono con un sacco di smorfie reggendo dei piccoli vassoi con delle gomme da masticare. "Chiclets, Chiclets," cantarellavano, con le manine accarezzavano dolcemente le pance dei ragazzi.

Jake si chinò e sorrise alla maggiore delle due. "Como estas, guapa? Digame, que quieres?"

L’altra ragazza sorrise, e porse il suo vassoio di gomme. "Chiclets?" fece di nuovo.

"Chiclets? No me gusta! Vamos!" Jake ringhiò mostrandole i denti rotti e lei sobbalzò dalla paura.

"Che figlio di puttana." Pete pescò in tasca e tirò fuori un peso, lo porse alla ragazza. Lei lo prese arrossendo prima di fargli cadere dei pacchetti di gomme nel palmo aperto, e poi corse via ridendo con la sorella.

Jake e Pete continuarono lungo la strada, riparandosi gli occhi dal sole calante. "Guarda quelle gambette scure," fece Pete ridendo.

"Quello è sporco, non è pelle scura."

"Davvero? Allora se sono così sporche com’è che hanno i denti tanto bianchi?"

"Chiunque può avere i denti bianchi."

"Ah sì, be’ tu non li hai."

"Chiunque può avere i denti bianchi basta che non mastichi." Jake diede un calcio a un cane che dormiva sul vano di una porta. "Sai, non mi dispiacerebbe trovarmene una di quelle carine e scure, ora che ci penso." Sputò. "S’inculino tutte le troie bianche."

"Non ti viene neppure in testa che forse erano un po’ giovani?"

"Parlo solo di una scura. Non quelle lì. Comunque, vecchia abbastanza da sanguinare, vecchia abbastanza da procreare. Anche tu la sai." Jake rise e sputò un grumo di saliva scura.

Avevano raggiunto la fine della strada dove s’immergeva sotto una duna di sabbia. C’era un piccolo ristorante, sul davanti agli angoli conficcati nel terreno c’erano un paio di ombrelloni. Sul lato della strada, ronzava dolcemente un camper rivolto verso il mare. A trenta iarde le creste delle onde s’innalzavano per ricadere esauste sulla spiaggia ghiaiosa. Un breve pontile si lanciava nella spuma dei frangenti e in fondo un gruppo di ragazzi messicani bevevano bibite e gettavano i fili delle lenze nell’acqua. Pete e Jake si spinsero sulle assi consunte. Se ne stettero ad osservare come gettavano, oltre il bordo del molo, i fili legati a dei tozzi di carne marcia. Granchi dalla corazza blu prendevano il viaggio di ritorno, tirando la carne in modo convulso e i ragazzi li strappavano via per gettarli in cesti per il bucato.

"Questa è una cazzata," fece Jake.

"Pete gli lanciò un’occhiata. "Ti ricordi quando siamo andati giù a Ponchartrain all’inizio della scuola?"

"Già."

"Quella volta che quel granchio maschio le si è sigillato all’alluce e lei ha iniziato a urlare?"

Jake ridacchiò. "Merda che sì. Mi ricordo. Maledizione."

"Ti sei buttato per aiutarla—"

"E hai pestato quel maledetto chiodo."

Pete diede un calcio a una scheggia spingendola nell’acqua. "Eppure sei riuscito a tirarle via il granchio dall’alluce."

"Che mi ha steso."

"Che ti ha steso. E ho dovuto portare tutta quella merda di roba in macchina perché a malapena riuscivi a camminare. Chi avrebbe mai pensato che il pestare un chiodo ti avrebbe steso."

Si avviarono di ritorno lungo il pontile, i nomi brillavano in lontananza, Cayman’s, Marilyn’s, Paco Paco.

Pete disse, "Ehi Jake, lo sai vero quello che hai detto quando parlavi di fartene una scura?"

"Sicuro."

"Dicevi sul serio?"

Di nuovo passarono di fronte al camper ben illuminato, il generatore che ronzava ancora nell’improvvisa oscurità del crepuscolo. Jake diede dei colpi su di una finestra. "Voi là dentro! C’è qualcuno?"

La faccia di un uomo apparve dietro il vetro. "Chevvoi?" fece con dei versi della bocca.

Jake sputò alla faccia e lo sputo rimbalzò indietro, le mani del tipo chiusero violentemente le tende di tessuto inconsistente. "Figlio di puttana," disse Jake ridendo e dando un calcio a una gomma del camper.

"Jake, non ci siamo mai stati lì dentro," disse Pete, fissando giù per la strada. Jake seguì il suo sguardo. Il segnale che indicava il luogo portava scritto Mariachis Locos.

Jake disse, "Mariachi. Di sicuro suonano quella merdata a due passi. La stessa roba di Tex-Mex solo che non usano la fisarmonica. Da dove vengo io i terroni la suonano sui camion. Gli stereo a volume alto come nelle macchine dei negri. Ti superano sulla strada e tutto quello che senti è BOOMP-boomp-BOOMP-boomp-BOOMP-boomp."

"Non ho mai sentito una cosa simile. Non sembra male." Pete se ne andò.

"No, dai, Pete. E’ una cazzata." Pete non si fermò. Jake lo seguì. "Maledizione Pete—"

"Senti, sei stato tu a dire che ne volevi una scura. Dove mai la puoi trovare se non lì?"

"Stupido bracciante. Tu e i tuoi campi di grano e contenitori di grano e borse di studio di
ultimo grado, vaffa’n culo."

Pete si fermò, fissò Jake. "Maledetto texano con quella madre da due lire e la demenziale borsa di studio in atletica. In che ti specializzerai? Nell’intrecciare canestri?"

"Inculati stronzo! Te ne starai a vendere cani alle bancarelle mentre gioco sui campi, perdente."

"Me ne vado. Non me ne frega se ci vieni. Vuoi farti la scura, vieni, altrimenti fanne a meno. Ma io ci vado." Pete si girò e proseguì. Jake gli andò dietro.

Sulla porta il buttafuori stava cullando una Coca-Cola e si dondolava un po’. Come si avvicinarono si gettò in una lunga menata: "Esta Noche, El grupo mas espectacular! Los Musicos Lunaticos! Mariachis de Guadalajara con el cantador Juan Gallardo! Juan Gallardo, El tigre de San Rafael!"

Il buttafuori indicò loro di entrare all’interno.

"Lo capisci cosa volevo dire," fece Jake.

"Senti, a cosa stava urlando quello?"

Una cameriera apparve e li condusse a un tavolo. "Volete qualcosa da bere," disse per routine. Ordinarono tequilas e birra.

"Ora capisci quello che intendevo dire," fece Pete, guardando le gambe della cameriera mentre si avviava al bar.

"Sicuro, la vedo e vedo pure i suoi cinque fratelli cinesi."

"Pensavo fosse messicana."

"E’ una storia da ragazzi. Di cinque fratelli che la sapevano lunga sul come dare i calci in culo."

Il gruppo suonò un pezzo strumentale. Jake fece schioccare le nocche sul tavolo a tempo con la musica. Era un gruppo bello grasso, cinque violini, due trombe, una chitarra, una biguela e un guitarron. Il suonatore di chitarra era un ragazzino giovane, aveva forse diciassette anni. Era un suonatore vistoso. Un giovane ruspante. "Joven! Joven!" la folla urlava e lui improvvisava usando perfino il collo. "Toca! Toca manitas! Manitas de plata! Toca!"

"Il tipo piace," disse Pete.

"Sì, stanno dicendo ‘Suona! Suona con le mani d’argento.’ E’ un bel verso, mani d’argento."

La banda continuò con un’altra canzone, le trombe squillavano. Come i fiati si zittirono e i violini si spinsero in avanti, un uomo goffo si portò a passi larghi sul palco, una pistola cromata allacciata al fianco. La testa sembrava enorme, perfino su quell’ossatura imponente. Schioccò un sorriso vincente, roteò in modo elegante verso sinistra e afferrò un microfono che arrivava volando da un lato del palcoscenico. Il mariachi fece un altro quarto di giro, e con un gesto equino della testa iniziò a cantare in una voce da tenore chiara e profonda.

Un’ondata di piacere percorse il pubblico. "Canta! Canta!" urlavano, nel momento in cui la sua voce s’innalzava nella stanza. Una coppia ben abbronzata, turisti, entrarono, si sedettero davanti e iniziarono a urlare insieme alla folla.

"Chi diavolo pensano di essere?" fece Pete.

"Chi, quelle vecchie troie?"

"Già."

Jake scrollò la testa e scolò un sorso di birra. Lo Joven ci dette dentro per la soddisfazione di un gruppo di giovani donne messicane che se ne stavano felicemente sedute all’angolo del palco.

"A quel tipo va bene di sicuro," disse Jake.

Pete osservò la cameriera avvicinarsi a loro con il terzo giro di tequilas e birre. Gli shorts bianchi fuoriuscivano brillanti e scolorati a contatto con le gambe scure.

"Pensi che lo stendano spesso?"

"Cosa?" fece Pete senza girarsi.

"Pensi che lo stendano spesso?"

La cameriera rimase in piedi al tavolo per appoggiare i drinks. Pete se ne stava lì trafitto dal suo ombelico.

"Non mi stai neppure ascoltando." Girandosi di scatto, la testa di Pete si fissò su Jake. "Va bene così, guarda me. Non ce la farai di certo ad arrivare da nessuna parte in quel modo. Dille solo che ritornate a casa. Una volta mi sono fatto una messicana. Ritorniamo a casa. Devi parlarle. Dirle solo che si ritorna a casa."

La cameriera aveva finito di mettere i liquori sul tavolo e si allontanò. "Ciò che non funziona è che non parlano inglese." Jake alzò la voce, "Moza! Moza!" La cameriera si girò e si riavvicinò. Lui la fissò, gli occhi spalancati. "Mi guapa, te quiero. Quiero su cuerpo celeste."

Parlava con una dolce nenia. "Digame guapa. Me quieres? Quieres bailar conmigo?"

La ragazza arrossì. "Non capisco," disse e si girò per avviarsi verso il bar.

"Hai visto? Si stava riscaldando con quello che le dicevo. Non puoi semplicemente fissare loro le tette come un sonnambulo. Sono cresciuto insieme a un sacco di messicani. La nostra inserviente era messicana quando ero bambino."

"Mettici insieme, Jake."

"Tu ti metti con lei, ragazzo mio. Merda, non ti mescolare con queste scure, comunque. Non qui in ogni caso. Quando l’ho fatto io ne ho scelta una che non aveva fratelli. Quella cosina che stai osservando probabilmente ne ha una dozzina o più. E vanno giù duri."

"Ma hai detto che ne volevi una scura."

"Davvero? Be’ ora riesco a pensare meglio. Non qui, comunque."

I mariachi finirono di suonare un’altra canzone. La signora ben abbronzata della coppia di turisti ben abbronzati scattò in piedi alternando un battere di mani scalmanato alle dita in bocca per fischiare.

"Cazzo se fischia come un uomo," fece Jake.

Il marito era mezzo girato sulla sedia, guardandosi indietro verso la porta.

"Mi pare che quello sia l’uomo del camper," disse Pete. "Penso ci stia guardando."

Jake aveva lo sguardo altrove, verso i bagni. La cameriera si stava indirizzando da quella parte. "E’ fatta maledettamente bene," disse Jake.

"Cosa?"

"La cameriera, è una calda. Sai, penso sia indiana al cento per cento."

Pete seguì lo sguardo di Jake. "Penso andrò in bagno," disse alzandosi e avventurandosi in quella direzione. L’attenzione di Jake fu attratta dal palco dove il suonatore con il pancione di biguela stava lanciando il gruppo ancora in un’altra canzone d’amore. Amore e guerra, vi era forse altro che valesse la pena di decantare?

Pete girò l’angolo ai bagni. Vide la cameriera scuotere adagio la maniglia di quello delle Donne. Era chiuso. Incrociò le braccia per il più breve degli attimi e quindi s’incamminò decisa alla porta verniciata che si aprì in un bagliore metallico. Era sparita. Una vecchiaccia rugosa era in piedi vicino ai bagni, un ceppo fisso, la mano tesa in avanti con il palmo verso l’alto. Fece oscillare un rotolo di carta igienica nell’altra. Pete rivoltò le tasche davanti, si avviò al bagno degli Uomini e poi di scatto deviò verso la porta verniciata.

Portava all’esterno in una corte circondata da un muro bordato da cocci cementati di bottiglie rotte. Brillavano nell’abbaglio metallico di una lampadina nuda avvitata a un qualche tubo appeso sopra la porta. Il muro dall’altro lato aveva un’apertura a cancello e nel mezzo della corte quasi vuota c’era un vecchio bus per gli scolari. Era dipinto di blu e aveva le alette a razzo fissate ai lati e sul tetto. Proprio sopra il telaio, spruzzato a lettere a riccioli, Pete lesse, Los Musicos Lunaticos.

C’erano dei mucchi di bottiglie vuote nelle cassette lungo un lato del muro. L’altro muro era vuoto. La cameriera se n’era andata. Pete camminò per il cortile silenzioso e deserto, le scarpe grattavano le pietre. Quando arrivò al lato opposto del bus dei mariachi, si tirò giù la cerniera dei pantaloni, tirò fuori il cazzo e iniziò a pisciare. Al suono del getto che colpiva il terreno percepì un movimento da un lato e ruotò su se stesso per affrontare l’intruso di faccia. Era la cameriera. Si stava accucciando lì vicino. L’aveva persa nell’oscurità oltre la pozza di luce metallica. Aveva gli shorts attorno alle caviglie e un lento ruscelletto scivolava via tra lo sporco e i sassi del cortile. Si fissarono come bestie sorprese nella foresta. Lei quasi perse l’equilibrio, ma si riprese con tutte e due le mani e si congelò. I suoi occhi sembravano enormi. Era tremendamente bella accucciata lì nello sporco.

"Va tutto bene. Voglio solo andare in bagno," disse Pete, spostando lo sguardo d’improvviso dalla ragazza al suo pene, bianco e dall’aspetto di un verme nel luccichio della lampadina. Simile a qualcosa che apparteneva al regno sott’acqua. Riusciva a udire il piscio fluire dalla ragazza.

"Indiana al cento per cento," disse tra sé. "Una scura."

L’urina usciva lentamente, impedita dall’erezione irrigidente.

"Forse vuoi averlo dentro?" lui le chiese.

Lei lo fissò priva di espressione, senza capire. Guardò oltre l’uomo.

Qualcuno uscì di corsa dall’oscurità del bus, la camicia mariachi increspata, arruffata e spiegazzata. Pete era fatto, se ne stava di fronte alla cameriera con il cazzo in mano. Lei era lì, congelata sul luogo, non pisciava più, solamente accucciata con gli shorts abbassati e Pete che le fissava la figa. "Indiana al cento per cento," fece con un suono aspro senza respiro.

Ebbe solo il tempo di girarsi verso i gradini quando un pugno gli si schiantò in faccia e lo mandò lungo disteso quasi sulla ragazza. L’ultima cosa che notò, prima che la punta di uno stivale lo mandasse nell’oscurità, fu che aveva la testa immersa in una pozzanghera.

"Che differenza c’è tra la birra e il piscio?" fece Jake a un cameriere che passava. Il cameriere gli lanciò un’occhiata inquirente. "Circa cinco minutos." Jake si alzò e attraversò il club per andare in bagno. Diede alla vecchiaccia delle toilette un peso e ricevette alcuni quadrati di carta igienica. Avviandosi verso quello degli Uomini udì qualcosa che sembrava un battipanni. Si volse verso la vecchia in cerca di una risposta.

"El amigo de usted," disse, puntando la porta verniciata. "En el jardin." Gli fece un sorriso tutto gengive e denti rotti.

Jake conficcò la carta igienica in tasca e spalancò la porta verniciata. Una lampadina nuda lo abbagliò. Vide un bus blu nel mezzo di una corte delimitata da mura stuccate. La porta si chiuse dietro di lui. Riusciva a udire una donna ridere. Sembrava venisse dall’altra parte della corte, allora Jake si tirò su i pantaloni e si chinò per sbirciare sotto il bus. Riusciva solo a distinguere un uomo sdraiato nella povere giù dall’altra parte. Un secondo uomo era in piedi vicino al primo. Jake vide il tenue luccichio della punta cromata degli stivali nel buio. Non riusciva a vedere la donna che aveva riso, ma udì di nuovo lo stesso suono e capì che stava piangendo.

Tirandosi su ancora una volta i pantaloni, Jake raggiunse senza far rumore la parte posteriore del bus e quindi scattò girandogli attorno con la testa abbassata come un toro all’attacco.

Colpì l’uomo con una spallata nel rene e questi restò senza fiato mentre la schiena gli si arcuava facendogli silurare fuori l’aria dai polmoni. Cadde rumorosamente sui sassi, steso. Jake attese. L’uomo non si mosse.

Fece alcuni passi e guardò Pete, notò il cazzo fuori dai pantaloni. Jake gli mise una mano sul petto e quindi vicino alla bocca. Era freddo ma respirava. Così pure l’altro uomo, Jake notò che aveva lo stesso costume bianco e nero come i musicisti nel club. Mentre si alzava in piedi un cane rimbalzò giù dai gradini del bus e azzannò il polpaccio di Jake. Era un bastardo, ma aveva una buona mandibola. Jake emise un urlo di dolore e scosse la gamba in aria, portando con sé il cane che vi restava attaccato, mordendo sempre più in profondità, la testa sbatteva da un lato all’altro, Jake frenetico cercava di fargli allentare la presa.

"Maledetto," urlò e iniziò a battergli la testa con il pugno. Piantò il piede nella sporcizia e gli diede un calcio nel fianco con la gamba libera. Il cane guaì e lasciò andare. Lui gli diede un altro calcio, quello di punizione, che lo mandò radendo terra a sbattere contro il muro di stucco.

"Vuoi che ti tratti come un pallone da calcio di merda, sicuro che ti tratto come un pallone da calcio di merda," mormorò.

Jake guardò la donna. Vide che era la cameriera. Se ne stava accucciata sulle pietre e stava ancora piangendo. Gli shorts alle caviglie, e il terreno attorno era bagnato. Le si avvicinò e le si accovacciò davanti. "Que pasa compañera?"

Lei continuò a piangere.

"Digame, que ha pasado?" Tirò fuori dalla tasca i quadrati di carta igienica. "Dispénseme," disse, allungando il braccio e pulendole le guance bagnate. Si sentiva impacciato. Voleva prenderla tra le braccia. Era così immobile. Sembrava shockata. Vide che guardava in un’altra direzione, era il cane che si avvicinava rigido con un respiro affannoso. L’istinto di lottare lo aveva lasciato o forse ne aveva perso lo scopo. Appoggiò le zampe davanti con una certa lentezza sulla ragazza e le leccò il viso prima di avvicinarsi al mariachi incosciente e accomodarvisi vicino con un guaito.

Jake vide che lo sguardo della ragazza si focalizzava altrove.

"Eh Joven. Blaaaanco." Volutamente in modo lento. "La chiquita. Su hermana?" Una risata fragorosa. Era il cantante. "Lei è tua sorella? Su negrita?" disse. Un’altra risata. L’uomo dalla testa grossa era ancora in costume, ma aveva la pistola cromata fuori dalla fondina e la passava con leggerezza da una mano all’altra.

Jake udì la porta verniciata chiudersi di colpo. Il suo unico punto di vista era inquadrato dal terreno e dal rigonfiamento del bus. Tutto quello che riusciva a vedere era una folla di gambe in pantaloni neri e bianchi.

Il cantante guardò verso i piedi che marciavano e quindi di nuovo verso Jake. "Joven, Vaya! Me intiendes? Capisci? Vattene gringo!"

"Claro. Pero mi amigo." Jake indicò Pete sull’acciottolato privo di sensi.

"No es mi problema."

Jake guardò gli uomini che si avvicinavano e si alzò in piedi spingendosi con le anche. "Ayùdeme Señor," sibilò sottovoce.

Il cantante, dando di nuovo un’occhiata ai musicisti disse, "No puedo. No son mis hermanos." E ridacchiò.

Gli uomini circondarono il bus. Guardarono il cantante che mise la pistola nella fondina e salì sul bus. Circondarono Jake e la cameriera, nessuno di loro parlava. L’uomo dal pancione che aveva suonato la biguela schiantò la custodia dello strumento contro la testa di Jake. "Bastardo!" urlò. Jake cadde nella sporcizia vicino a Pete. La cameriera urlò, "No! No le molesta!"

Qualcuno gli diede un forte calcio nelle costole e gridò, "Eh gran chignon, Te gusta lo pies?" Gli uomini risero. Di nuovo la cameriera urlò, "No le molesta! Bastante!" Da dove giaceva Jake riuscì a vedere che si alzava e si tirava su gli shorts. Vide che si spostava verso gli uomini. Udì che li spingeva via. Sentì che se ne stavano andando.

Tutto risuonava indistinto e aveva problemi nel respirare. La gamba gli doleva maledettamente. Il cane gli venne vicino e gli leccò la faccia con un respiro che tanfava di denti marci. Jake non ebbe la forza di sbatterlo via. L’odore del diesel lo sorprese e udì lo stridio delle marce mentre il bus usciva con fracasso dalla corte.

E poi tutto fu di nuovo silente. Solo le mura bordate di vetri e le bottiglie impilate e il duro acciottolato del cortile. Era tutto quello che riusciva a vedere da dove giaceva.

E le gambe scure della cameriera tagliarono il campo visivo svolazzando. Gritò, "Ayùdeme!" La voce gli uscì spezzata e si rese conto che stava piangendo.

Lei gli si avvicinò e si accucciò davanti a lui. Gli pulì la faccia con le mani. E questo lo fece sentire caldo, come un bambino con la mamma. Faceva così male che voleva ringhiare, e i suoi denti bianchi erano tanto perfetti. "No es mi problema," disse, "No es mi problema. Pero, momentito. Puedo ayudar." E se ne andò.

"No, aspetta!" Jake riuscì ad emettere. Era terribile essere lasciato lì solo. Ma lei stava entrando nel club e sparì.

Riusciva a muovere un po’ la testa, e guardò l’amico. "Pete," fece con un rumore aspro, ma Pete non si mosse. "Pete, te l’avevo detto di non cazzeggiare in giro con le scure." La luce abbagliante della lampadina nuda gli giungeva inclemente, e di nuovo udì la porta verniciata sbattere. Il respiro gli ritornò un po’ meno faticoso. Aveva trovato aiuto. Riusciva a udire lo schiaffo delle suole di pelle sui sassi. E quindi una faccia lo sbirciò dall'alto. Teneva una birra mezza finita in mano. Disse, "Voi là dentro. C’è qualcuno?" E una voce chiamò dall’altra parte della corte, "Tesoro! Sbrigati! Voglio tornare a casa. Penso che abbiamo lasciato il generatore acceso!"

La cosa sopra di lui urlò in risposta, "Ho quasi finito! Sai bene quante margaritas e birre ho bevuto!"

E prima che la bottiglia gli si spaccasse contro, Jake disse, "Testa di cazzo."

 

Yves Jaques yjaques@tiscalinet.it