Capitolo 9, Parte B

Ora sai

 

Chiuse di colpo il blocco degli appunti e rabbrividì gettandolo sulla scrivania vicino alla finestra e si arrampicò sul letto il più silente possibile. Estrelica sentì che si stava infilando sotto le coperte e gli chiese dove era stato. Rispose che era appena stato in bagno, il che la soddisfò mentre si girava per mettergli le braccia attorno, poi si ritirò a contatto del suo corpo gelato.

"Sei congelato." Sussurrò.

"Il bagno è FREDDO!" Lui sussurrò di ritorno.

"Dai vieni qui" lei mormorò mentre teneva Vic sempre più stretto e gli sfregava le braccia e le gambe attorno per riscaldarlo. Lo accarezzava gentile e presto scoprì che lo aveva cullato nel sonno. Ora che Vic si era di nuovo addormentato, Estrelica era completamente sveglia e lì rimase continuando a sfregargli il corpo mentre guardava le ombre dei rami dell’albero sul muro che ondeggiavano in avanti e indietro e tra se intonava un tango. Si rese conto che aveva pure bisogno di far scolare la notte e tirò via il corpo da Vic il più dolcemente possibile per andare in bagno. Passò sopra i propri vestiti sparpagliati sul pavimento nella prima stanza e ridacchiò avviandosi alla toilette. Seduta sulla tazza si mise un dito sull’ombelico e si grattò via quelle che erano state le ultime gocce di succo sul suo corpo, ora un momento asciutto dell’uomo nella stanza accanto. Si mise le dita sotto il naso, inspirò e spalancò gli occhi. Ritornò nella stanza davanti e si sedette sul sofà, poi si alzò per regolare il timer della macchina fotografica che se ne stava appoggiata sul caminetto, si risedette sul sofà e si mise le dita sotto il naso mentre la macchina scattava, ronzava e chiudeva l’obiettivo. Si guardò attorno nella stanza oscurata dove avevano iniziato a fare l’amore e sperò fosse ancora sveglio. I suoi occhi caddero sul ferro da stiro che era stato lasciato fuori, e a cosa lo avrebbe usato il mattino, e pensò al giorno successivo, alla settimana successiva, al mese successivo, all’anno successivo, e si immaginò come Vic potesse entrare nei suoi progetti, se mai. Si rese conto di quanto ridicoli fossero i suoi pensieri, quindi pensò alla sua vita e a dove si stava ora dirigendo e quanto più ridicola sembrava dei pensieri che stava costruendo su Vic. Era da molto tempo che non si lasciava andare in modo impulsivo e la sicurezza della vita risultava comoda, ma era stanca di dover combattere la noia razionalizzando costantemente la situazione attuale. Pensò alla proposta di affari che Vic le aveva fatto in bagno, o era solo un sogno; le incoerenze sarcastiche di un vagabondo infatuato intossicato? Pensò a quanto tempo in realtà sarebbe passato prima di incontrare J. Dove Dixon e si chiese se in effetti lo stava solo aspettando. Era riluttante nel pensare che la vita che sempre aveva voluto vivere forse era lì, sulle punte delle dita, e pensò a tutti quelli che conosceva e a quale reazione avrebbero avuto alla sua decisione. Poi pensò a quelli che avrebbero riso di più e avrebbero cercato di predicare con maggior orgoglio e che erano quelli che si erano lasciati vendere anni fa giù per il fiume e si erano adattati molto facilmente a vite umili. Pensò all’autocommiserazione, al giglio come la definiva, che tenne stretto vent’anni fa nel momento in cui si svegliò, e si chiese se fosse forte abbastanza da perseguire quello che il suo cuore le stava dicendo. Era stanca di credere di essere innamorata di qualcuno solo perché voleva esserlo. E chiunque si trovasse nel suo letto era sempre stato capace di rigirarsi un cammino nella sua mente in un modo in cui lei pensava nessun altro sarebbe stato capace. Le venne in mente come aveva avuto il coraggio di colpirlo all’inguine e in effetti si era sentita felice di averlo fatto, aveva lasciato il suo biglietto da visita, dovesse mai in futuro provare qualcosa di simile. Iniziò a elencare i difetti che già riconosceva in lui e li bilanciò con il fatto che benché avesse dei difetti, l’alternativa stava nel trovare qualcuno che non ne avesse tanti, e che davvero potesse esistere. Pensò a qualcosa che J. Dove diceva sempre. Qualcosa come, se senti gli sciacalli attorno, impara a comportarti come loro o si avventeranno su di te senza pietà. Sapeva che Vic non era uno sciacallo, ma aveva imparato a comportarsi come uno di loro. Si guardò attorno per il blocco degli appunti sul quale aveva scritto la lettera a J. Dove quello stesso mattino in bagno, lo trovò nella stanza, mise una candela fresca nella bottiglia vicino al letto, la portò alla scrivania e prese una scatola di fiammiferi di sicurezza. Aprì il blocco dove si trovava la lettera scritta a J. Dove, la lesse, fece scorrere le pagine, quindi notò che qualcun altro vi aveva scritto. Lesse le parole che Vic aveva lasciato, le lesse di nuovo, poi guardò il suo viso mentre dormiva. I pensieri sulla sua faccia rivelavano una persona soddisfatta di tutto quello che aveva visto senza alcun tentativo di cercare di mascherare i suoi sentimenti in una postura sociale artefatta. Ma quando notò che era con qualcuno che non gli era intimo, il viso gli cadeva e un senso di mediocrità lo distorceva in uno strano modo. Poi quando gli si permetteva di essere se stesso, iniziava a radiare al punto che la sua stessa presenza si faceva contagiosa. Sapeva che era passato dall’inferno. Quale inferno, non stava a lei saperlo, ma lui aveva ovviamente imparato quando era giunto il tempo di nutrire i propri demoni e aveva la cortesia di prendersi cura di loro separatamente.

Guardò fuori dalla finestra alla notte nel prendere la penna in mano.

 

Lei aveva l’abitudine di rovistare i negozi di libri

su fino agli atlanti del mondo

aveva l’abitudine di ascoltare la nonna

ogni notte

La sola faccia che vedeva

giù in fondo al prato alla luna

e si avviava a piedi

quando invece avrebbe dovuto spegnere la luce

 

I suoi denti erano taglienti come la lama

si bagnava le dita per conoscere il vento

le sue cosce a volte l’arrestavano

a volte funzionavano da esca

aveva imparato tutto dell’Egitto

le fu pure insegnato in modo ordinario

ma non era come se non ce la facesse ad attendere

 

I ragazzi a piedi scalzi avevano il solletico

tornavano freschi dalle proprie guerre

e alle mine lei non era d’istinto portata

ad intrattenersi

e tutti mostravano le stesse cicatrici

fin quando non si poteva che voltarsi dall’altra parte

finché non si ardiva immaginare

oh, tra l’altro,

come ti chiami?

 

Ma bisogna annaffiare le piante

e le unghie dei piedi hanno bisogno di essere tagliate

mentre lei si pulisce il pepe

dalle labbra

e con tutto quello che loro sapevano inventare

e per tutto il tempo che ancora avrebbero potuto ridere

desideravano solo tu li scrutassi a fondo

e ti intagliassi via metà di te stesso

 

L’ultima volta che lei udì il nome di lui

guidò in città per un ultimo gioco di gin

con il barista che le aveva dato

il primo aquilone

Lui disse, "Mi sposi

quando avrò sessant’anni

dopo tutto il resto tutto fallisce

ma ora

puoi startene lontana da te stessa

solo per una notte?"

 

E quando le taverne emanano

le scariche di risa e

le urla rimbalzanti

arrampicati sulla finestra che dà sulla baia

dove lei accende

l’incenso

e le alte candele

e dice il suo nome

e tocca la parete

e salva una sigaretta

per il mattino

in un unico morso

 

Guardò le parole, si accese una sigaretta, volse lo sguardo fuori dalla finestra e si vide seduta alla finestra dalla strada mentre iniziava a svanire in distanza, osservando la sua casa, la strada, il vicinato, la parte della città nella quale viveva, la lunghezza della baia e la linea della costa, l’appezzamento di terra che si stendeva verso nord e sud all’orizzonte, l’angolo del continente, la curvatura del pianeta e la perfetta solitudine della sfera illuminata gentilmente dalle stelle circostanti annidiate in una delle braccia della via lattea.

La sua stanza era di un blu profondo e silenziosa, eccetto il leggero rumore degli artigli di Armitage mentre si accoccolava le zampe. Si piegò per prenderlo tra le braccia, se lo pose sullo stomaco e lo accarezzò gentile.

"Cosa me ne faccio di un marinaio ubriaco, mio damerino?" bisbigliò ad Armitage, che sbatté lento le ciglia e si accomodò sul suo corpo. "E’ proprio questo ciò che mi aspettavo tu dicessi."

Guardò fuori dalla finestra e presto perse la nozione del tempo mentre stava seduta nel silenzio e iniziava un inventario veloce di quello che era cominciato come il giorno nel quale aveva semplicemente vissuto e fece passare al telescopio la vita che aveva fino a quel momento trascorso. Non voleva ammettere a se stessa di aver sognato troppo bene e pregato troppo intensamente, e si sentiva di voler essere protetta dalla mattina e da quello che le era stato messo ai piedi. Potrebbe essere chiunque, lei pensò. Chiunque tra gli occhi anonimi ai quali permetteva di guardare nei suoi mentre camminava per le strade, estraniata da loro solo dal martellare sociale della proprietà e dell’etichetta. Pensò alle prime parole che aveva detto a Vic, di poterlo riportare a casa e anche di essere capace di trascinarlo per l’inferno, soffocò un sorriso rendendosi conto di aver fatto ambedue nel corso della giornata. Ma per quanto cercasse di analizzare la semplicità della situazione, la sua mente creava dei modelli algebrici intricati che s’infilavano e si sfilavano dentro e fuori da ogni possibile crepa dell’esistenza. Nell’interesse della vocazione che aveva scelto riusciva solo a pensare che aveva vissuto in quell’area fin troppo perché le potesse ancora interessare e si rese conto che le fotografie che aveva scattato nell’ultimo anno si erano fatte più comuni e conservavano minor spessore. Avesse accettato la proposta di Vic, le ricchezze architettoniche d’Europa erano ad attenderla. Per non parlare della profondità del carattere sulle facce di quelli che vi vivevano. Una profondità che era stata spruzzata via ad aria da tanti americani che aveva visto. E dovesse in effetti viaggiare con Vic, come potrebbe un tale temperamento aiutarla quando quello che voleva era trovarsi immerso in panorami e festival troppo caotici perfino per una documentazione cinematografica. Osservò il viso di lui mentre dormiva e riscontrò che non voleva neppure cercare la macchina fotografica per catturare colui che avrebbe potuto lasciare la sua presenza per sempre in sole poche ore. Adorava le fotografie, ma trovava che alcune cose erano troppo sacre per essere sottoposte all’emulsione e alla carta. E la memoria del viso della persona che dormiva nel suo letto ora, e tutto quello che lui aveva visto, e il modo zelante in cui aveva vissuto la sua vita, e la grazia con cui aveva saltato attraverso i cerchi che lei aveva posto, costituivano per lei solo dei ritratti di estremo candore, e l’apertura che aveva mostrato nell’assicurarsi che le fosse concesso di vedere tutte le cose che sempre aveva voluto... Dimentica la macchina fotografica, pensò, dimentica perfino la memoria; lascia che il mattino se ne occupi. Sospirò seduta sulla sedia e Armitage saltò giù mentre lei si alzava per ritornare a stendersi sul letto, chiuse gli occhi senza far rumore e il più lentamente possibile e scoprì che il suo igloo stava bruciando. L’inverno era uno dei più duri che qualsiasi membro della famiglia avesse mai visto, se ne erano andati tanto tempo prima per cacciare pelli nel vento sibilante. Estrelica era rimasta lì ad accudire al fuoco e si era addormentata e svegliata in un sussulto per notare che le fiamme del fuoco stavano bruciando il tetto dell’igloo mentre la neve nel suo turbinio penetrava dentro. Si mise a cercare qualcosa per spegnere il fuoco e una torcia per riaccenderlo una volta che fosse riuscita ad estinguerlo, solo per scoprire che la torcia era congelata in un blocco. Trovò un mucchio di carta sufficiente da spegnere le fiamme, ma scoprì che era una vecchia poesia che il padre aveva battuto a macchina per lei, e vi aveva scritto la propria poesia scarabocchiandola tra le linee stampate, cercò qualcos’altro per spegnere le fiamme e tutto quello che riuscì a trovare erano pile e pile di vecchi giornali che aveva tenuto da quando era nata, che avevano già salvato l’igloo una volta quando avevano assorbito tutte le acque dell’inondazione anni e anni prima. Impilò i mucchi di giornali uno sull’altro fin quando furono più alti delle fiamme stesse, e si rannicchiò in cima al mucchio e lasciò che le fiamme lambissero il suo trono che era nell’abside di una chiesa, proprio vicino all’altare, mentre una processione di un qualche tipo iniziava e un uomo in un completo marrone le si avvicinò per offrirle un disco rotondo di mylar arancione, prima di andarsene. Si rende conto che sta per sposarsi, e tutti volgono lo sguardo altrove nel momento in cui gli ospiti sanno che lo sposo non è ancora venuto, allora lei scende dal trono e si avvia a uno dei posti centrali, si inginocchia e inizia a pregare per lui. Si lascia cadere quasi tutti gli anni all’istante e si ritrova ad essere una bambina di quattro anni, che prega in chiesa, che però ora è vuota eccetto la nonna che cammina in avanti e indietro tra i banchi davanti e dietro di lei nella navata. Sente la nonna dire tra sé, "Novantasei, novantasette, novantotto, novantanove," e crede che non andrà oltre cento, ma lei continua a contare sorpresa, "Cento e uno, cento e due, cento e tre, cento e quattro," quando inizia lenta a collassare. Estrelica si alza per correrle vicino, chiamandola "Nonna! Nonna!" mentre la chiesa scompare e il mattino luminoso di un sabato in cima a una collina ripida nei pressi del centro della città ne prende il posto, mentre Estrelica apre le braccia per accogliere la nonna che sta cadendo quando d’improvviso i raggi più vibranti di energia intensa uniscono di colpo le due insieme ed Estrelica pensa tra sé, "Devo dire qualcosa." D’improvviso Estrelica ode le voci di tutte le anime sul pianeta all’unisono "Ti amiamo, ti amiamo." Lei veloce dice alla nonna, "Ti amiamo, Nonna. Ti amiamo!" mentre la nonna sussurra per riassicurarla "Lo so, lo so," e lasciandosi andare tra le braccia di Estrelica, spira.

"Questi sono amici tuoi? Ehi, sono tuoi amici questi piccoli?"

Estrelica si svegliò al suono delle parole di Vic in piedi vicino alla finestra al lato destro della stanza vestito solo con il gilet. Lei udì le voci dei due bambini suoi vicini della casa accanto mentre notava che il mattino era arrivato riempiendo la stanza di luce. Vic si rese conto che lei era ancora nel regno dei sogni e si avvicinò al letto, le salì sopra a cavalcioni, mise la faccia vicino alla sua e sussurrò "Penso vogliano te." Estrelica saltò quando aprì bene gli occhi e vide il viso di Vic cosi vicino al suo, poi si rese conto di chi era e lo abbracciò.

"Penso vogliano te," lui ripeté.

"Chi?" sbadigliò Estrelica.

"Quei due bambini là fuori."

Qualche sassolino rimbalzò sulla finestra di Estrelica mentre usciva dal letto.

"Cristo, hanno rotto una finestra in questo modo alcune settimane fa," lei disse correndo alla finestra dalla parte sinistra e aprendo veloce la tapparella mentre Vic era in piedi vicino alla finestra destra e l’aprì.

"Ehi, ehi, ehi?" lei urlò ai bambini.

"Ehi, ehi, ehi, cosa?" risposero i bambini.

"Pensavo avessimo fatto un accordo."

"Che accordo?"

"Pensavo non avreste più rotto finestre."

"Volevamo solo vederti. Non riusciamo più a vederti. Ci manchi."

Estrelica si sporse dalla finestra e disse a Vic, "Questi ragazzini sono fantastici. Il nome della piccolina è Nicholino e quello del ragazzino è Marcel. Do sempre dei messaggi alla madre e loro pensano sia Wonder Woman o qualcosa di simile."

"Chi e lui?" Nicholino urlò a Estrelica.

"Anch’io me lo sono chiesto," rispose Estrelica sporgendo la testa fuori dalla finestra per guardare Vic, che pure aveva sporto la testa fuori dalla finestra.

"Vi piace?" chiese Estrelica a Nicholino e a Marcel.

"Dove sono i suoi pantaloni?" chiese Marcel mentre Vic veloce abbassava il torso di alcuni pollici.

"Sono del colore della pelle," rispose Vic.

"Be’, sembra abbastanza carino, ma..." Nicholino buttò fuori quello che pensava, "Sembra una specie di uomo dei rifiuti."

Estrelica si contorse dalle risate.

"Un cosa? Sembro cosa?" fece Vic in tono implorante a Nicholino.

"No, non è vero," Marcel ammonì la sorella, "sembra un gangster."

"Benissimo. Un uomo dei rifiuti e un ganster." Vic rise tra sé.

"Be’, voi due sembrate amanti."

Nicholino e Marcel si guardarono a vicenda e si staccarono per abbracciarsi con affetto mentre Nicholino baciava Marcel sul collo.

"Ehi, a chi assomiglia lei?" chiese Vic, indicando Estrelica.

"Un’adescatrice," disse Marcel e la sorella gli diede una sberla in viso.

"No, neanche un po’, ti sbagli, e io non ti amo più."

"Ehi, sapete se vostra madre ha del basilico?" chiese Estrelica.

"Non lo so. Perché?" disse Nicholino.

"Be’, andate a vedere, e se ne ha preparo del pesto per colazione."

"Anche per noi due?" chiese Marcel.

"Sì, sicuro." rispose Estrelica.

"Va bene, ritorniamo subito." disse Nicholino dirigendosi di corsa a casa della mamma con Marcel.

Estrelica prese la mano di Vic e lo condusse di nuovo nel letto.

"Allora, assomigli a un’adescatrice, eh?" disse Vic.

"Non so dove vadano a imparare queste parole. Non penso di aver avuto la stessa età quando ho imparato il significato di adescatrice."

"Cosa fa la madre."

"Oh, fa qualcosa o altro o qualcosa."

"Oh."

"Vuoi alzarti?"

"No. Non ancora." Estrelica sussurrò mentre lei e Vic facevano di nuovo l’amore e poi scivolavano ancora nel sonno. Vic si svegliò prima di Estrelica e le fece correre le dita leggermente su e giù per le gambe e poi nella vagina e il suo corpo gli rispondeva anche se lei era incosciente. Mentre le dita di Vic continuavano ad accarezzare il corpo di Estrelica, lei girò la testa per guardarlo e fu shockata nel vedere chi le era steso vicino, attendendosi di trovare J. Dove. Un moto improvviso di vulnerabilità l’avvolse mentre rigirava la testa per scrutare fuori dalla finestra. Vic riusciva a vedere la luce del giorno riflessa negli occhi di lei ma lei sbatté le ciglia ritirandosi nel pensiero per riprendersi. Vic aveva notato tutto, ma finse di dormire.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 9, Parte C

Ora sai