Capitolo 7, Parte D

Il rifiuto di lei

 

I due ballavano lentamente, sbagliando e strisciando pochi passi goffi perché

nessuno dei due aveva ballato lenti da anni ormai. Nessuno dei due aveva più

pensieri, per non parlare delle parole, appagati del fatto che la voce di Nina Simone

li guidasse dove desiderava. Estrelica spalancò gli occhi per guardare le

ombre nella stanza mentre il rintocco lontano di una cattedrale di cui

si ricordava da bambina le solleticava le orecchie. Vide la silhouette di

J. Dove Dixon là sulla parete scuotere il capo e sorriderle e pure lei annuì prima

di indicargli di andarsene. Lui accondiscese. Qualcosa l’accecò quando notò che era

solo il riflesso della luce della candela sul ferro da stiro che aveva lasciato fuori pronto

per stirare la gonna blu cobalto che aveva progettato di indossare il giorno successivo

per incontrare il proprietario. Il rumore delle cose che avrebbe dovuto fare l’indomani

le echeggiò nella mente chiuse gli occhi per impedire a qualsiasi cosa di disturbare il

momento. Fece un profondo respiro, divise i cieli e stillò il color borgogna sulla

luna. Quindi si avvolse il corpo nella fragranza dei giacinti. Raccolse un po’

di saliva in bocca, arricciò la lingua e aprì la bocca per soffiare una

minuscola bolla che si diresse sulla sua cartella si posò sul laccio prima di scoppiare.

Sfiorò con la mano la bottiglia di porto che reggeva la candela accesa e la portò al

fianco per raccogliere tutta l’energia che aveva per guardarlo in faccia. Lui aprì gli

occhi per vedere che lei lo stava guardando, poi scrutando, poi dall’esterno, poi nel profondo,

puntandogli gli occhi ovunque sul viso. Anche se lui non aveva avuto il tempo

di prepararsi un’espressione, la guardò, poi la scrutò, poi dall’esterno,

come se lei non lo stesse neppure guardando. Gli occhi di lei resistettero per un

attimo prima di arrendersi e cadere sempre più nel suo

sguardo finché fu presa da un senso di completo

abbandono che la eccitava tanto quanto la terrificava.

Lui sbatté le palpebre e sorrise leggermente; facendo del suo meglio per aiutarla

a non perdere se stessa. Il perché, lui non lo sapeva. Lei apprezzò il cambiamento nel

suo viso come un segno inviatole di non guardare troppo a fondo nei suoi

occhi. Recuperò se stessa e scoprì che era

leggermente delusa. Fece un respiro molto profondo e sospirò

e chiuse gli occhi e lenta pose le labbra appena aperte

sulle sue che gentilmente li guidò sul pavimento di legno

di quercia. Lui percepiva la fragilità di lei attraverso la

carne e le accarezzava leggero il corpo come se neppure

fosse lì. Lentamente tracciò un cuore con le labbra dalle labbra di lei

al mento e di ritorno su alle labbra e abbassò la bocca

per scivolarle lungo il collo mentre lei reclinava indietro la testa, toccava

il pavimento e stirava il collo. Lei pose gentile ambedue

le mani sulla vita di lui mentre lui le premeva la curva del

collo e le toccava un ginocchio con la mano tracciando una semiluna

mentre lei alzava il ginocchio per puntellarsi col piede. Lui le infilò una mano

sotto il bordo della gonna di cotone, quasi impigliando

l’anello d’argento con la testa di sciacallo nell’orlo consunto

e le toccò l’interno delle cosce leggero. Lei

iniziò a sbottonargli la camicia e notò una piega lungo

il tessuto che sosteneva i bottoni mentre le dita di lui

ballavano la tarantella tra i suoi capelli e sul suo pube

lei gli fece scivolare la camicia dalle spalle, intrecciando treccine con

i peli del suo petto, e i denti di lui si chinarono per morderle la camicetta

e alzarla fino al collo. Gliela fece passare

sopra le spalle e stava quasi per impigliarsi negli orecchini,

uno di commedia, uno di tragedia, la fece volare

sull’asse da stiro e toccò con la punta della lingua un

capezzolo e toccò con un dito l’uno e l’altro labbro di lei mentre lei

deglutiva e respirava e faceva svicolare le dita su per le gambe di lui.

Solo il colpo attutito dei bottoni e il fruscio dei

jeans spinti giù mentre la lingua di lui si avvolgeva

nel pube di lei per trovare il bottone della terra di

nessuno. Lui la sentì contrarre i muscoli e

permise alle proprie labbra di scivolarle lungo le cosce, mentre lei

indicò la sua stanza e si diedero un bacio di commiato

sulla porta. Lei lo prese per mano

e lo guidò giù sul letto che

era sul pavimento, aprì gli occhi

con garbo, e gli chiese di continuare

ancora un po’. Lei disse

"Passami la bocca qui"

e fece un cenno con la mano

sul viso

e soffocò

tutti gli anni

che era rimasta a morire in quel posto.

D’improvviso fu il silenzio

E udirono l’un l’altra passare

attraverso gli occhi l’uno dell’altra

e poi il rumore del radiatore.

Armitage si stirò gli artigli

e spalancò la finestra

di modo che la notte gli intiepidisse le mani

sul lento dissolversi delle mandibole.

"Ti rendi conto dove questo ci sta portando?"

Lei sussurrò a bassa voce e con tenerezza.

"Be’, penso di esservi già stato prima

ma sempre mi perdo quando ci vado."

"Capisci, io sono sempre lì e

quando li vedo venire

mi viene sempre da ridere

al quanto veloci sempre corrano."

Lei trovò tutti i proiettili

che ancora erano incastrati

nel suo petto,

e si rese conto

che loro due erano forse i primi

ad aver mai tentato il meglio.

Lui l’osservava

fissare gli occhi al cielo

e poi fissarli ancor

più in là

e voltarsi feroce

"Baciami qui

baciami lì

baciami anche qui,

e qui e qui

ora di nuovo qui

ora di nuovo qui

e ora

e qui

e ora."

Niente tanto vertiginosamente alto

niente tanto profondamente immerso

niente

tanto intensamente

quieto

come il respiro

emesso

lungo e lento.

Estrelica

e

Vic

non

potevano

che

vedere

loro stessi

sul

muro

al di

sopra

della candela

che lei aveva acceso.

"La tua protezione cervicale dov’è?

Non sto facendo le 100 miglia

ora. Potrei

benissimo

usare il mio tappetino giapponese."

"Ma il fazzoletto che hai gettato

via in strada,

penso potrebbe funzionare due volte tanto."

"Be’, si vive solo per essere giovani

o vecchi, ma non c’è proprio nient’altro

nel mezzo."

"E’ una scommessa,"

lei tossì

e non seppe

aspettare

la sigaretta successiva.

Lui alzò gli occhi

e vide l’ala di un pipistrello

che penzolava appena fuori

da un foro di proiettile nell’appoggiatesta

piegato contro il muro

mentre lei toccava la gola di lui.

"Be’, c’era

questo tipo

che mi diede un’ala

in un posto dove lavoravo una volta

e quel foro di proiettile

nell’appoggiatesta

è di quest’altro

simpatico piccolo imbecille.

Penso dovrei andare

a fare benzina

per vedere se è un uomo

o se le fiamme lambendolo lo ripuliscono.

E spero tu non abbia già

trovato un posto per me sul tuo braccio."

Lui trovò un’orchidea tatuata

su per il tallone di lei

e le sue mani si facero calde.

Le statue

nei pensili

girarono tutte la testa

mentre l’orologio rabbrividiva

ogni singola nota sul suo nastro.

Lei buttò via l’orologio verso Armitage

che fece sobbalzare la testa

e non riusciva a credere

a quello che i suoi occhi vedevano

riflessi sul muro.

Vic soffiò il fumo dalle labbra

e vide la fuliggine del giorno

mescolarsi e cambiare di luogo

mentre loro distesi si schiacciavano a vicenda

tra le pagine di

un libro millenario.

Dal centro del soffitto

un ragno discese

fluttuò sopra di loro

intesse ragnatele

su ragnatele

quindi si arrampicò su di nuovo.

Estrelica starnutì

gettò la testa all’indietro

e tre o quattro ragnatele

le si arricciarono attorno alla testa

mentre scrollava i capelli

sopra e attorno agli occhi

le caddero sui palmi

e lei li lasciò cadere

sul petto di lui.

E se lui fosse riuscito a vederle gli occhi

probabilmente mai

avrebbe voluto fare altro

se non capire quanto tempo

sarebbe riuscito a stare lontano da lei

e offrire il proprio cuore in alto

alla notte.

Le cadde una goccia di sudore

sulla coscia di lui

e lei non riusciva a dire

se stava vivendo

o stava per morire.

Udì qualcuno

sul sentiero della vedova al di sopra

chinarsi e urlare

mentre le lacrime e il silenzio sanguinavano

alla finestra

ma mai colpirono la strada.

Lui prese la gardenia

la immerse nel bicchiere

dove cresceva

e la sfiorò su di lei che stava sotto.

"Voglio essere preso

ma per qualche ragione

proprio non posso andare."

"Io ti voglio.

Nessuna ragione,

e mai potrei conoscerti

ma ti sei preso il tempo di

distrarmi

per ricordarmi di quello che sempre ho saputo."

"Ti rendi conto, naturalmente,

che questo non sta succedendo."

"Sì, credo che gli spaiati

non si siano combinati.

Ma c’è un qualcosa d’impercettibile

che ho trovato

per il mattino

che ho salvato."

Il suo letto non aveva lenzuola

solo un pezzo di garza grezza

tenuta fissa con dei chiodini

e quando respirava tanto profonda

lui si ricordava

che era stata attaccata,

e tirava il piumino sopra di loro

e si scioglieva sulla lingua nella bocca di lei.

"Vieni qui,

vieni qui per sempre,

ma per ora,

lasciami per quel tanto che riesci,

e mandami una scatola di ciò

che hai visto.

Lascia soltanto i miei sogni intoccati

e guardami

se sei tanto coraggiosa."

Lui sapeva con esattezza

cosa avrebbero detto:

"Hai visto molto

di lei,

ma sai cosa dicono:

In compagnia dello stesso diavolo

lui non è trattato

in quel modo."

"Vedi, mi dimentico sempre

cosa sembro,

ma, reputo debba

essere una visione

perché gli unici

che mai mi riconoscono

sempre si chiedono

quanto mordo.

Vedi,

c’è qualcosa

di cui non mi preoccupo affatto

e

ho notato che anche a te non interessa."

"Ho solo tre parole

da dirti."

Lui

inspirò

e

ascoltò

lento

e

sicuro.

"Hai piedi puzzolenti"

e lei lo solleticò fino alle lacrime

attizzò il letto

mentre si leccava le labbra

quasi riarse,

e chiese del bicchiere

d’acqua che

conteneva il geranio,

lo bevve d’un fiato,

e disse

"Porta quello che è rimasto in questo bicchiere

e vai a versarlo nel bagno

e salva alcune gocce per la mie spalle,"

e sorrideva e sorrideva e rideva.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 8

Lui si tiene sulle sue