Capitolo 7, Parte B

Il rifiuto di lei

 

Si introdussero in casa e salirono una rampa di scale fino alla prima porta a sinistra. L’appartamento di Estrelica, ed entrarono. Andò diretta verso la cartella di fotografie che teneva sotto il sofà coperta da un lenzuolo bianco, gliela porse e andò in cucina. Lui scorse le fotografie e trovò che quasi tutte erano nudi. Alcuni di lei, la maggior parte di altri.

"Allora, chi sono queste persone?" chiese lui.

"Solo un sec…" lei rimandò dalla cucina.

"Vedo molti corpi qui."

"Bene, la prima contro le rocce al mare, era in classe con me, davvero una buona amica. Abbiamo iniziato a frequentarci da vere amiche quando decise che non le piacevano più i ragazzi. Un sacco di cose insieme, ecco cosa abbiamo fatto, ma ora sono mesi che non la vedo. Penso stia ancora dall’altra parte della città. Vuoi un po’ di caffè?"

"Sì, sicuro."

Vic continuò a far scorrere le fotografie mentre di ritorno nella stanza davanti, metteva una cassetta nello stereo e si rituffava in cucina.

Gli occhi di Vic si scontrarono con la fotografia di una donna gravemente picchiata i lividi della quale erano stati messi a fuoco.

"Gesù Cristo," lui mormorò.

"Ah, sì, alcune di queste sono state usate in tribunale."

Fece scorrere altre foto e s’imbatté in una fotografia di Estrelica di altri tempi e luoghi nel giardino sul retro di un maniero sepolto nel verde, appena dopo il crepuscolo come se un enorme party stesse avendo inizio in quel momento per dare una svolta alla serata. Bilanciava il corpo nudo su di un leone in pietra con un piede, l’altro piede lo teneva avvolto al ginocchio come se fosse pronta a fare un qualche tipo di salto. Una mano riferiva delicata alla luna che teneva appoggiata sul palmo, mentre con l’altra mano si solleticava leggera i peli pubici e lo sguardo cadeva su qualcuno fuori dalla fotografia a cui cercava di convogliare il messaggio che, sì, in quel momento era senza vestiti, ma non per chiunque stesse osservando. Vic chiuse di colpo la cartella, la ripose dove lei l’aveva trovata, in punta di piedi si diresse in cucina e ancor più silenzioso le mise la mano sugli occhi. Lei guizzò all’improvviso e gli diede un calcio veloce all’inguine inveendo contro di lui.

"Non ti permettere MAI più di farlo."

Vic, anche questa volta, se l’era cavata, dato che il ginocchio aveva preso la parte interna della coscia, ma comunque di riflesso si piegò in due.

"Gesù Cristo."

"Senti, mi spiace, ma pochi anni fa sono stata stuprata e certe cose proprio non se ne vanno, capisci? Non è contro di te, è solo che… ci sono delle cose di cui voi ragazzi non vi rendete conto ma noi ci dobbiamo preparare."

"Tutto okay. Voglio dire, ti capisco. Ma, Cristo, prima quasi mi sparano e poi per poco perdo i gioielli di famiglia…"

"Mi spiace, davvero."

Lui si ritirò di un paio di passi e si mise a sedere in una delle sedie apribili di metallo al tavolo della cucina.

"Ti piace il caffè?" lei gli chiese.

"Si, mi piace."

"Bene, perché questo è ciò che ricevi." Disse collocando davanti a lui e a se stessa una tazza sedendosi dall’altra parte del tavolo.

"Allora, cosa ne pensi?" lei chiese.

"Del tuo piccolo esercizio tai kwan?"

"No. Cerca di capire, mi spiace veramente, okay? Parlavo delle mie fotografie."

"Uh, non stavo proprio pensando. Devo aver fatto solo da testimone."

"Testimone di cosa?"

"Un mondo che sospettavo, ma che non mi attendevo."

Ambedue presero dei sorsi di caffè. Estrelica pose la tazza e abbandonò la mano facendola sobbalzare con il gomito.

"Cosa significa?"

"Cosa pensi che sia?"

"Be’, da dove vengo io potrebbe significare una quantità infinita di cose."

"Tipo?"

"Tipo: dove sono i soldi per quell’ultimo giro, o cerca di leggermi il palmo o--"

"Cosa pensi che sia?"

"Penso sia qualcosa per cui forse non sono preparato."

"Preparato per cosa?"

"Be’… sono un ragazzo molto fragile. Uno di quei ragazzi di cui si legge e che ha sempre cercato una di quelle ragazze di cui si legge."

"Cosa intendi con tutto questo leggere di?" lei chiese.

"Aah, sai bene. Quelle cose dove è una notte d’estate come un’altra, appena alla fine della primavera, il o all’incirca primo giorno di giugno, e proprio nel momento in cui non ti interessa più niente, d’improvviso sei shockato. E lo shock sta nell’aver capito di aver riconosciuto qualcuno che pensavi mai avresti visto, e ti spaventa a morte, come quando cammini vicino a una fattoria al crepuscolo fischiettando tra te e te, quando d’improvviso con la coda dell’occhio vedi qualcosa che si muove e lo stomaco ti si chiude in una morsa solo per vedere un pavone aprire a ventaglio la coda e iniziare a strutturarsi in una figura a otto. E ti chiedi se tu non fossi stato lì, avrebbe ugualmente aperto le ali, e te ne vai fischiettando, ma di quando in quando ti sfoghi in una risata e guardi verso il cielo e urli ‘Bastardo!’"

"Bastardo?" lei chiese.

"Sì. Bastardo. Ancora un altro trucco. Solo un altro trucco da mago."

"E se il pavone salta lo steccato e ti segue?"

"Be’, penso stia a te definire questo."

"Che nome gli daresti?"

"Ombra."

"E ci litigheresti?"

"Solo se mi rendessi conto di quanto mi ha reso impressionabile. E se non mi fossi spaventato probabilmente gli darei dei nomi e numeri di altri pavoni che ho visto che non mi avevano impressionato."

"Impressionato." Lei ripeté.

"Già. Impressionato."

Vic cambiò soggetto.

"Sai cosa davvero voglio prendermi? Un vero cappello a cilindro grigio, di quelli di una volta."

"Ne vuoi uno?" lei sorrise.

"Ce l’hai?"

"Era di mio nonno, che è morto da secoli. Ma devi usarlo ben poco, perché è così vecchio che il numero di colpi che gli sono rimasti diminuisce sempre più. Non ti so dire quanti ne abbia ancora, ma penso si dovrebbe risparmiarglieli."

Fece Vic raggiante. "Posso vederlo? Posso toccarlo? Posso mettermelo per assomigliare a George Gielgud?"

"Sì, puoi provare." Lei disse mentre si alzava per andarlo a prendere.

"JOHN Gielgud." Si corresse Vic. Estrelica annuì e si complimentò con lui. "Giusto."

 

Estrelica e Vic, Capitolo 7, Parte C

Il rifiuto di lei