Capitolo 6, Parte B

Attorno a lui lei guidò,
parlando e cantando lui si tratteneva

 

"Ma, ho avuto quest’altro passaggio l’altro giorno che era ancor meglio. Una chiamata da Saint, sì che lo sai, Saint… io-sono-la-vite-e-tu-sei-i-tralci, sì, quella, su per la 9a e Marion? Be’ veniva dagli uffici della cattedrale, proprio dall’altra parte del viale. Questa donna ci aveva chiamati. Allora sale sul taxi, sono circa le 10.30 di mattina, e dice che va a casa perché l’hanno appena buttata fuori. ‘Oh, Cristo, e per che cosa?’ E dice che lavorava nel reparto stipendi della chiesa. Era da più di due anni che era lì, faceva bene il suo lavoro, tutti hanno sempre ricevuto gli assegni in tempo. Poi circa un mese fa era andata dal medico per dei dolori al petto, e lui le disse che avrebbe dovuto avere un qualche tipo di intervento chirurgico e che avrebbe dovuto assentarsi per circa sei settimane. Allora l’ha riportato al lavoro, il medico le aveva addirittura scritto una nota, e pochi giorni dopo le fu riferito che il suo servizio non era più utile. Licenziata. Lei ha chiesto se era a causa di questo intervento e hanno risposto ‘No,’ era dovuto alla qualità del suo lavoro. Sembra che tutte le altre donne con le quali lavorava fossero gattine e che non l’avevano mai accettata perché lei non lo era, allora l’hanno presa di mira. E lei era l’unica persona di colore nell’ufficio, così…" fece Jason strascicando la parola.

"Cosa farà ora?" chiese Estrelica.

"Be’, ho iniziato a farfugliare ‘Chiama l’ACLU,’ e lei li aveva già chiamati, aveva già un avvocato. Era pronta a schierarsi contro l’intera diocesi. Come siamo arrivati a casa sua in Rainier Valley, vicino a Genessee, il contamiglia segnava $7.50 o qualcosa di simile, e l’ho pagato di tasca mia. Non era poi troppo, ma di sicuro avrà bisogno di tutti i soldi che riuscirà a trovare ora. Me ne è stata veramente grata e mi ha lasciato andare per la mia via."

Sia Jason che Estrelica bevvero un sorso di birra e lei sfrecciò al bagno. Anche Jason lasciò il tavolo per vedere chi stava giocando a biliardo.

Vic aveva incontrato un paio di vecchi amici e sedeva con loro alla panca con i tavoli davanti, di fronte al bar.

"Per Dio, ma perché veniamo ancora qui?" chiese uno degli amici di Vic. "Guarda che razza di talento in questo posto, neppure una briciola."

Vic si rivolse a lui. "Quanti anni hai?"

"Oh, smettila. C’è proprio un cambiamento serio nel tipo di persone qui."

I quattro se ne stavano seduti a guardare un ragazzo al bar che faceva l’impossibile per centrare le monete in una lattina di caffè vicino alla cassa, senza riuscirvi.

"Oh, Dio, guarda chi c’è," disse uno degli amici di Vic e tutti girarono la testa per vedere Estrelica che usciva dal bagno. "Ti abbiamo visto arrivare insieme a lei questa sera, Vic."

"Sì, l’ho appena incontrata."

"Che ci fai con lei, Vic? Non è mai stata un’equilibrista."

"Scherzi?" chiese Vic. "E’ lei a tenere tutto in piedi. Dovresti forse incontrarla da solo."

"Sai, odio dirtelo, Vic, ma l’ultima volta che sono stato in bagno era lì che tirava su le viscere. Quella corda tesa deve essere abbastanza pesante."

Vic li ascoltava tutti nel loro avvicinare gli accendini a un ghiacciaio ed era troppo stanco per pensare a qualcosa da dire.

"E’ una puttana, Vic. Niente da dire su questo, ma sarà qualcosa a cui ti dovrai abituare. Ecco tutto."

"Oh, Gesù, cosa sta facendo ora?" Fece uno di loro e tutte le teste di nuovo si voltarono nel momento in cui chiedeva a un tipo al bar la gomma che aveva in bocca per attaccarla a un biglietto da un dollaro e tirarla verso il cielo al soffitto alto circa quaranta piedi perché raggiungesse tutti gli altri biglietti dello stesso valore che costellavano la volta nera del Comet. Aveva confidato troppo nel dollaro che ripiombò giù e atterrò nel mezzo del tavolo da biliardo. Lei non lo voleva. I ragazzi che stavano giocando a biliardo non lo volevano, e quindi continuarono il loro gioco schivandolo.

Vic si alzò e andò al bar mentre Estrelica tornava al tavolo. Vic pure ritornò al tavolo e vi piazzò un boccale e ne versò un bicchiere a Estrelica e una goccia le colpì l’occhio. Si tolse le lenti a contatto e le mise nel contenitore.

"Aaaahhhh. Non c’è niente come togliersi gli occhi. Ora vedo quello che sembri in realtà."

Vic fece un brindisi. "Salute alle uova e ai tappeti ruvidi."

Prima che Estrelica riuscisse a chiedere che diavolo avesse mai detto, lui continuò a parlare.

"Allora, ero in questo vagone ristorante questa mattina e ho incontrato questa ragazza."

"Come si chiamava?"

"Non me lo ha ancora detto."

"Come è fatta?"

"Un usignolo."

"E a cosa assomiglia un usignolo?"

"Non saprei dirti. Non ne ho mai visto uno; ne ho solo sentito parlare."

"Cosa le hai detto?"

"Dai la colpa a me, sorella."

"Lo ha fatto?"

"Non te lo so ancora dire. E’ la tipa alla quale prima si deve parlare."

"No, forse no."

"No? Allora ho solo sprecato un sacco di tempo."

"Non proprio. Cosa ti piace di lei?"

"Il modo in cui non si sottrae."

"Hai provato a baciarla o qualcosa di simile?"

"Be’, sapeva che avrei dovuto farlo. Voglio dire, ho il petto villoso, ho il—"

"Lo sapevi che le vipere hanno il petto villoso?" chiese Estrelica.

"No, ma lo sapevi che le femmine delle vipere emanano un aroma diverso da quello dei maschi? E che ci sono dei maschi che sanno riprodurre l’aroma di una femmina tanto bene che vengono accettati dalle femmine?"

"Mi chiedo cosa fanno nel momento in cui sono accettati." Inquisì Estrelica.

"Probabilmente traslocano solo nell’appartamento sotto, la stanza vicino alle scale uscendo dal portone principale, e spalancano la porta di notte mentre stanno seduti a scrivere lettere e ad ascoltare i violini alla radio. E le giovani sul porticato, be’, si raccolgono attorno a lui nei pomeriggi di sabato per ascoltarlo parlare di tutti gli altri maschi. Ora, gli altri maschi, scivolano lungo la casa e lo maledicono. Viene preso di mira. Sono tutti gelosi come l’inferno. Lui gongola molto, credo, ma quando se ne va per entrare nel piccolo letto sinuoso, deve pensare alla compagnia che ha attorno. E se ne sta lì a pensarci, un colpo alla porta e l’unica altra femmina che lo capisce entra e dice ‘Infine, qualcuno con il quale riesco a parlare.’ Così, lui le fa una cortesia e inizia a parlare della strategia dei maschi e lei ascolta e d’improvviso si rende conto che i maschi usano la stessa strategia delle femmine. Si sente proprio scomoda e si ricorda di aver lasciato un’amica sopra ad aspettarla ed esce subito dal palco. Il maschio piange fino a ridere, poi ride fino a piangere. Poi va a letto."

"Sembra una storia triste." Disse Estrelica.

"Non lo so. Penso si dovrebbe essere vipere."

"Allora, com’è che sai tanto delle vipere?"

"Ero una mangosta. Una mangosta piccola, fa attenzione, ma una mangosta comunque." Disse Vic.

"Già, io ero Dio."

"Che è successo?"

"Be’ ha iniziato a piacermi questo tipo e io a lui ancor più. E un giorno ha cominciato a dire ai suoi amici che ero Dio. S’è quindi messo a scriverlo ovunque. Non riuscivo ad andare da nessuna parte senza vedere che ero Dio. Alla fine ho dovuto andarmene via fisicamente perché questo imbecille scriveva dappertutto che ero Dio. Ma alcuni mesi dopo ho incontrato qualcuno che davvero mi piaceva e a cui in realtà piacevo. E… penso che lui abbia pagato per i peccati di quest’altro stronzo. Abbastanza crudele, ma… è così che va."

"Allora ti piaceva veramente?" chiese Vic.

"Di’, che devo farne di me stessa, lo sai tu? E’ come quel tipo che si tira dietro un crocefisso sulle spalle con le piccole ruote per trainarla. Un giorno mi ha detto che l’avrebbe portata in giro per tutto il mondo. Gli ho detto che sarebbe stato meglio se si fosse preso una croce più grande perché quella che aveva ora non aveva spazio abbastanza per le firme di tutti. E prima di essere Dio ero un clown. Il clown che soffocò a morte nel proprio trucco."

"Abitavo in una casa i cui proprietari precedenti erano clowns. Un intero branco d’oche. Hanno perfino lasciato un trampolino rotto nella nostra rimessa. Un giorno ho dato un passaggio a un autostoppista che voleva raggiungere una casa che distava solo pochi isolati dalla mia ed era uno dei clowns che avevano abitato in casa mia. Vive proprio in mezzo al quartiere dove avvengono tutte le sparatorie di passaggio, e diceva che tutti i suoi vicini sono abbastanza amichevoli. Disse che il peggio che mai sia successo fu proprio prima di un temporale estivo quando si sente l’aria inchinarsi nei polmoni. Lui e i vicini erano tutti fuori sulle verande, quando questo tipo si precipitò attorno all’isolato in pantaloncini con una pistola e se ne stette fisso come un ceppo e sparò un colpo diritto sopra la sua testa mentre tutte queste altre macchine sfrecciavano via. Urlò dall’alto dei polmoni, ‘NON sono l’UOMO. L’UOMO è l’UOMO!!’ Quindi collassò nel mezzo della strada e un minuto più tardi i poliziotti vennero urlando attorno all’angolo e volarono per le strade con le pistole puntate su di lui. Se ne stava steso sulla strada frignando mentre i poliziotti lo massacravano. Gli misero le manette e lo buttarono dentro e partirono. Sembra che il tipo fosse ancora sui sedili posteriori della macchina quando acciuffarono uno degli inseguitori. Misero anche questi dietro, e lui inizia a dire loro che ha l’AIDS, ma sempre in un tono gentile e buttando lì barzellette e altro. Poi, proprio quando stanno per uscire dalla macchina alla prigione, guarda l’altro tipo e dice, ‘Sai cosa mi piace di te? Posso ancora ucciderti’ e gli sputò negli occhi."

"AIDS negli occhi" disse Estrelica.

"E’ sì."

"Era un periodo in cui uscivo con questo tipo che sempre si metteva nei guai e una notte era al pub e parlava con quest’altro tipo che si alzò per andare al bagno e lasciò il portafogli sul tavolo. Quando ritornò dal bagno sostenne che l’altro gli aveva preso cinque sterline dal portafogli. Hanno iniziato a litigare finché l’accusato l’ha frustrato con la cintura una volta e lo ha steso. Il giorno successivo, il tipo che era stato frustrato ha rintracciato l’altro e gli ha offerto un lavoro nel negozio di cornici di cui era proprietario." Disse Estrelica, prendendo un altro sorso di birra.

"Ho visto qualcuno lasciato lì in un pub a morire." Iniziò Vic. "Ero nel Galles. Merthyr Tydfil. Avevo incontrato un medico in Inghilterra, nell’Avon, ed era nato a Merthyr Tydfil ed aveva tre anni e mezzo quando fu portato in Inghilterra. Quindi, dopo essersi sistemato come medico, ogni fine settimana si recava a Merthyr Tydfil alla ricerca di qualche ettaro di terra. Trovò questi pochi ettari e iniziò a costruirsi un cottage per quando sarebbe andato in pensione, e parlava con tutti i vicini e usciva per qualche boccale di birra con loro al pub locale lì in fondo alla strada. E così tutti i fine settimana e così fino a quando terminò di fabbricare il suo cottage. Poi un giorno entrò nel pub e disse, ‘Ecco, sono in pensione. Ora resterò qui per sempre.’ e i locali si volsero a lui e gli dissero, ‘Be’ solo perché ora sarai tra noi, non iniziare a pensare che SARAI uno di noi.’ Io stavo al cottage con lui quando questo successe. Quella in effetti fu la prima notte nella casa. Terrificante, tutto era silente nel cammino di ritorno al luogo. E mentre me ne stavo lì sdraiato con le luci spente, l’ho udito al piano superiore singhiozzare. Il giorno successivo gli ho augurato ogni bene e sono partito. Mi trovai una pensione dall’altra parte della città per un po’ e mi recai a visitarlo circa una settimana dopo ed era morto col cuore spezzato. Questo è ciò che mi è rimasto di Merthyr Tydfil." Vic ricordò prendendo un buon sorso di birra prima di continuare.

"E poi ci fu Estrelica. Estrelica che ho incontrato appena dopo che Beatrice mi aveva mostrato tutto ciò che aveva visto che si ricordava io sapessi. Estrelica ed io abbiamo viaggiato un bel po’ insieme. E’ stata lei a dirmi delle caverne di ghiaccio alle Cascate e delle strade di Dublino. Mi ha insegnato il modo di tuffarmi in una collisione continua e come allineare la spina dorsale a una libreria. Pensavo mi avrebbe mostrato ancor più, ma quando le ho parlato di ritornare a casa mia, la terra da cui provenivo, lei mi disse che non poteva. Mi diceva che era stata in molti luoghi, ma non poteva venire a casa mia. Quella notte cantò fino a quando mi addormentai, poi il mattino successivo se n’era andata.

"Dovevo ancora fare 5000 miglia prima di arrivare a casa, e di giorno urlavo il suo nome al sole e di notte sussurravo il suo nome prima di addormentarmi. Ero a un miglio da casa quando entrai in un negozio di liquori per una bottiglia di Jameson e la guardai, le dita attorno al collo, pensai tra me, ‘Vorrei, vorrei tanto.’ La sola cosa di cui mi resi conto fu della bottiglia nella discarica e io a guardare Estrelica in pieno viso.

"Non la vedevo da secoli e mi guardava con quei suoi occhi come se avesse visto le stesse cose che avevo visto io. Dovevo farla smettere di finire le mie frasi per me, ma siamo riusciti a integrarci abbastanza velocemente. Fossi stato un bugiardo le avrei raccontato di come sempre ho tentato di trovarla, ma lei sapeva cosa ho dovuto sopportare solo per riuscire a guardarla negli occhi. Gli occhi degli uomini dopo mezza bottiglia di whisky che mi supplicano di andarli a trovare in prigione poco prima di passare la dogana del loro stato che li sta aspettando. Gli stessi tipi che avevo visto ore prima come re di tutto quello che avevano visto. Il modo in cui scrutavano il mondo con un laser, solo per immolare se stessi silenti quando si trovavano faccia a faccia con…"

Estrelica continuò.

"…un coro di dragoni in loro compagnia, nutrendo un gatto che non è neppure loro, ma che viene comunque in giardino, solo per udire le corde un po’ più da vicino. Aveva sentito i ladri un giorno arrivare e irrompere allora corse loro incontro per mostrare le zanne e dovette conficcare loro gli artigli in faccia solo per farli fuggire. Il fluttuare delle corde è quello che ricorda sdraiata fuori sul porticato e vide un coniglio in un panciotto rosso e una giacca bianca prendere un soffio del respiro di un bambino e arcuare la schiena contro il fondo della bacinella del cielo per scorgere il Concord trascinarsi via l’ultimo pezzo di zolla della terra verde di Dio: ‘Ahh, non cadrà su di me’ pensa lei tra sé. ‘Non con un’emicrania GRANDE COSI’ da bloccarla fuori.’"

Una tempesta di ginepro e di pioggia fuligginosa girò l’angolo davanti alla finestra dove Estrelica e Vic stavano seduti e cadeva incerta sul listello. Nessuno dei due vi fece attenzione ed Estrelica tirò fuori un mazzo di carte con spine di cardi che caddero sul tavolo mentre prendeva una carta, la spiegazzò un po’, ed estrasse un pezzo di gambo dai denti.

"Ciò che voglio sapere è che tu mi dica cosa fare di questo filo che continua a scendermi dalla gonna."

Estrelica si alzò e si diresse al bar. Vic guardò fuori dalla finestra attraverso le nuvole alla luna alla quale mai sarebbe stato il primo ad arrivare. Perfino il terrier dall’altra parte della strada sbadigliò quando un merletto di pioggia gli si rovesciò sul pelo dalla tenda sopra. Vic tirò fuori da un portasigarette di ottone con degli stambecchi incisi sul coperchio una Viceroy, notò un porta-pellicola sul pavimento sotto il tavolo, il rullino era di sicuro completamente impressionato, lo mise in tasca e si accese la sigaretta. Diede un’occhiata al bar e osservò Estrelica mentre faceva scivolare a Terrell il barista un biglietto e allontanandosi verso il biliardo si dirigeva in bagno.

Sul collo di Vic si stampò un bacio mentre Jill scivolava attorno all’angolo del comparto.

"Ancora qui, eh?" chiese Jill.

"No, non ancora per molto. Non voglio essere qui." Rispose Vic.

"Ma, Vic, i tuoi orizzonti non devono essere lontani. I tuoi orizzonti possono essere molto, molto vicini."

"Sono sempre all’orizzonte, Jill, lo sai? L’orizzonte può essere un luogo abbastanza tranquillo."

"Oh, mi fai ridere, Vic. Quando è stata l’ultima volta che hai avuto il letto tutto per te? Tu sei un gourmet, Vic. Un gourmand. Un connoisseur fatto."

"Davvero?" Vic alzò lo sguardo nel momento in cui Estrelica ritornava nella sala. Jill si girò per vedere cosa stesse guardando, quindi si rigirò.

"Non guardare, Vic."

"Okay, non lo farò" disse abbassando il capo, quindi lasciando che gli occhi gli alzassero la testa di nuovo.

"Continua a non guardare."

"Hai mai visto qualcosa fiorire, Jill?"

"No, ho solo visto cose morire. I miei occhi non vi arrivano mai in tempo. E’ per questo che non cambio mai la disposizione delle cose in camera mia, così non devo pensare dove sono."

"Stai parlando per indovinelli, lo sai."

"Ahh, sei solo scocciato perché non ti racconto mai delle barzellette."

"Raccontami una barzelletta, Jill."

Vic ascoltava Jill che tentava tutta esaltata di metterlo nella sua scatolina mentre lui si rendeva conto che forse aveva infine raggiunto il limite estremo della città. S’era fatto a piedi ogni viale con le fioriture dei ciliegi e rifluito di nuovo ogni viale della città, solo per trovarsi alla fine della notte dove inizia il prato e il vapore che fuoriusciva dalle crepe nel marciapiede non era nient’altro che le molte memorie nude che fuggivano non notate dalla noia del suo cuore.

Fissava il bicchiere mezzo pieno di Ed davanti a lui e vedeva la luce d’ambra abbagliante di un viaggio a pesca al quale il padre lo aveva portato quando non sapeva ancora pronunciare il nome della canna che usava. Tutto quello che riusciva a ricordare era che iniziava con la z. Permise a se stesso di dare ascolto al brivido che invade la spina dorsale quando il passato allinea una memoria dopo l’altra come un orfano che prende a pugni un fuggiasco, e pensava a come tutti spengono la candela con lo stesso soffio che avevano usato per mandare via la vita del macellaio che ti aveva licenziato a mezzogiorno come il primo sospiro che ti aveva tossito fuori dal sonno al mattino. Jill si rese conto che Vic era solo e lo lasciò per le freccette.

Alzò lo sguardo per vedere alcune ragazze al tavolo che non conosceva quando una di loro fece guizzare gli occhi delle altre ‘Ecco è lui’ mentre l’amica si girava per guardarlo. Diresse lo sguardo altrove cercando di immaginarsi chi fossero e perché lo avessero notato. Pensava a quando Beth Stoleson lo aveva chiamato una carta circa dieci anni fa, e mai gli disse quale carta intendesse.

"Hai intenzione di finirla?" chiese Estrelica mentre si avvicinava al tavolo.

"Probabilmente no." Lui disse mentre lei collocava sul tavolo un bicchiere di birra chiara per uno. Prima di avere la possibilità di prenderne un sorso, lei propose un brindisi.

"Alla salute… Alla salute… alla salute…" iniziò a pensare Estrelica interrompendosi.

"Alla salute di Day-In Day-Out" fuoriuscì Vic.

"Day-In Day-Out?"

"Nella quarta corsa domani a Logacres." Scommise Vic.

"Sai bene che non dovrebbe esistere una variabile sulla possibilità di una caduta del cavallo, perché qualsiasi cavallo può cadere."

"Be’ si, ma allo stesso tempo un cavallerizzo pur non potendo aiutare un cavallo a vincere, può impedirgli di vincere." Lui le ricordò.

"Non scommetti mai sulla riuscita di una foto?" lei chiese.

"L’unica cosa sulla quale mai scommetta."

"E?"

"Be’, diciamo che alcuni giorni sono meglio di altri."

"Alla salute di Day-In Day-Out." Lei propose.

"Day-In Day-Out." Lui ripeté toccando il suo bicchiere e alzando il proprio per prendere un sorso e fu abbagliato dalla lampada che era appesa sopra il tavolo tra di loro.

"Non ce la faccio più di questa lampada." Sbottò Vic.

"Sì, ci sono delle sale dove mi si vede meglio. Penso proprio non sia questa."

  

Estrelica e Vic, Capitolo 7

Il rifiuto di lei