Capitolo 6

Attorno a lui lei guidò,
parlando e cantando lui si tratteneva

 

Estrelica e Vic attraversarono la soglia della Comet Tavern e scrutarono il mare di facce per un’ancora o per lo meno un boa. Vic immediatamente localizzò Jason seduto in uno dei comparti superiori e si diresse verso di lui. Appena giunsero al tavolo, Jason e una manciata di donne con le quali era, si alzarono tutti per andarsene.

"Non prendertela a livello personale o altro. E’ solo che ti odiamo," rimproverò aspro Jason.

"Ah sì? Be’, comperaci un boccale allora, vecchia baldracca!" scattò Vic al gesto di Jason di voler sparire, mentre lui ed Estrelica si sedevano l’uno di fronte all’altra al tavolo d’improvviso libero. Estrelica guardò Vic.

"Ti amo ti amo ti amo

ti odio ti odio ti odio" sottolineò Estrelica.

"Sì, anch’io ti amavo…" rispose Vic.

"AL PASSATO?" chiese lei.

"Sì, ma era quando ti conoscevo. Ora non ti conosco più così bene." Rispose Vic.

"Oh, sì, come se fossi cambiata IO." Ribatté lei.

"Be’, non è proprio come prima quando ti chiamavo solo per sentire il suono del tuo telefono. Il TUO telefono… nooo." Vic rispose.

"Di che diavolo parli? Non lasci neppure un MESSAGGIO. Sono io a doverti rintracciare."

"Sì, ma sai sempre dove trovarmi."

"Sicuro, fuori con qualche MADONNA, o sono PUTTANE questa settimana?" inquisì lei.

"Sai, mi ricordo le prime parole che mi hai detto. Ero appena arrivato all’Halfway House e stavamo tutti per andarcene ed era da poco che bazzicavi con noi, e stavamo aspettando che Dan uscisse dal bagno e mi sei venuta vicino e mi hai detto, ‘Oggi, ho avuto una banana GRANDE COSI’".

"Non ho detto questo," negò lei.

"Sì che l’hai detto e ho pensato tra me: Mezz’ora. Mezz’ora e sarà tutta mia. La porterò fuori dietro la discarica e le mostrerò la collezione di biglietti dei concerti ed, ecco fatto: Si inizia."

"Sì, mi ricordo della tua collezione di biglietti e quello per i Medusa’s Box, che non era affatto un biglietto, ma un pezzo timbrato di un bambola di gomma."

"Ti aveva impressionato, non è vero?" Lui chiese.

"Oh, sì, sono andata a casa e ho timbrato il MIO pezzo di bambola di gomma e il giorno dopo sono stata io a fregarTI."

"Sai cos’ho? Ho una fotografia di te con Janine in una vecchia barca a remi di stagno su in Alaska. Ha la testa sulla tua spalla e tu hai il braccio attorno a lei e sei lì con quello sguardo, pensando alle bare che arrivano dalla Mayflower."

"Hai tu quella foto?" chiese Estrelica.

"Sì, c’è del metallo ovunque e il tempo si è appena volto al peggio ed era domenica pomeriggio da come cade la luce."

"Allora, vuoi che te la firmi o cosa?" lei chiese.

"Sì. Poi la terrò fino a quando metti insieme le tue cianfrusaglie e poi ci pagherò l’affitto."

"Sì, come quando hai avuto bisogno che Dave venisse a vivere da te per non essere sfrattato."

"Vuoi la tua stanza a Sri Lanka o preferiresti avere la rimessa? Non fa ALCUNA differenza per me."

"Preferirei dormire nei tuoi mutandoni. I MIEI mutandoni che sono ancora nel tuo armadio." affermò lei.

"Sì, mi spiace molto. E neppure mai li indosso. Non posso. Sono troppo sacri."

"Te ne rendi conto, babe." sbuffò.

"Sai che ti ho visto nuda tanto tempo fa? Ero alla baia dell’Orsacchiotto, penso fosse la prima volta che ci andai, e tu eri sdraiata da sola sulla sabbia. Naturalmente sembrava tu volessi stare sola." lui disse.

"Sì, avevo l’abitudine di andare sempre lì."

"E’ bello vedere che sai anche portare i vestiti."

"Solo con te attorno, mio caro. Mi hanno parlato di te tanto tempo fa. Ho sentito dire che avevi l’abitudine di dormire con gli stivali appena li hai comperati." fece lei.

"Ero ubriaco, e inoltre avevo i piedi freddi. Avevo solo una bandiera della Germania dell’Est come coperta. Mi sentivo malissimo."

"Perché dormivi con gli stivali?"

"No, a dir la verità erano di Nick e una notte ero a casa di un tizio che spacciava così non mi sono fidato toglierli. Era il periodo in cui mi accasciavo sotto le entrate alle autostrade perché il rumore del traffico mi faceva addormentare." ricordò Vic.

"Quando è successo?" chiese lei.

"Un anno fa, di giugno."

"Allora vivevo nell’edificio Daylight con lo gnomo in fondo all’entrata, e il sistema elettrico stava per esplodere in qualsiasi momento per le perdite che c’erano nel tetto. Lo sai che ora viene questo gruppo?" disse con un gesto alla musica che riempiva il luogo. "Vado a vederli. E’ tanto che non vado a un posto-per-ballare-e-immersa-nel-sudore-libera-di-tutto. Lo sai cosa pensavo fosse la vita? Sudare. Nient’altro che sudare. Svegliarsi nel sudore, lavorare fino a quando si suda, andare a dormire nel sudore. Nessun altro profumo più fine attorno, come quando si annusano le ascelle dopo aver fumato erba per tutta la settimana e le ascelle hanno quel dolce odore di sudore di quando si sprofonda tra i rovi storditi come un aquilone, e poi ci si lascia cadere sfiniti su di un sacco a pelo nero che potrebbe o non potrebbe essere infestato dalla scabbia."

"Sembra una storia" lui disse inclinando la testa.

"Macché, io non ho storie."

"E’ vero, neanch’io ho storie. Nessuna che sia migliore di quella del PROSSIMO tipo che verrà, naturalmente."

"Già, probabilmente no."

"Ebbene, c’è stato un momento in cui ho fatto saltare le marce quando avevo dieci anni. Stavo scendendo ai Royal Hills in bici, dove nessuno aveva mai voluto andare, e c’era questa collina enorme e ripida che vi porta, e io stavo già volandovi giù a razzo e ho cambiato marcia per poter pedalare in discesa, ma mi è caduta la catena, allora ho girato contro un enorme cespuglio di rododendri nel giardino di qualcuno e salta fuori un cane che mi si aizza contro, un enorme Cane Pastore, ed è rimasto impigliato tra le ruote e si è rotto una gamba. Sono atterrato nel cespuglio e avevo ragnatele su tutta la faccia, ma la bicicletta era a posto. Le marce avevano bisogno di un po’ di lavoro, ma a parte quello… Il cane mi si è avvicinato zoppicando e mi ha morso sul sedere prima di scappare via. Allora, eccomi qui con ragnatele dappertutto sulla faccia e questo cane che ha fegato abbastanza da mordermi sul sedere. Gli ho tirato un sasso ma non l’ho preso. Quello che ho guidato poi è stata una Yamaha. Ne ho avuto abbastanza di quella merda di bici."

"Hai proprio ragione. Sembra una storia come un’altra." Fa lei.

"Non ti ho impressionato? QUESTA storia ti impressionerà…"

"COSA? COSA?" esclamò lei in falsa ammirazione. Jason finalmente ritornò con un boccale di Ed e lo sbatté giù davanti a Estrelica e Vic mentre con uno scatto buttava all’indietro la fontana ingarbugliata di capelli nerissimi lunghi fino alle spalle e si fece posto al tavolo. Un panciotto color oliva gli cadeva sul petto con una maglietta Rodeo sotto, il nome del gruppo di cui faceva parte. Jason aveva gli occhi di un piccione, il suo continuo scrutare lo portava a vedere come tutto andava e ritornava al contempo.

"Jason, Jason, Jason…" esclamò Vic.

Jason azzardò con una voce acuta: "Forse non lo sai, ma io ero presente al matrimonio dei tuoi genitori, e sono venuti da me per dirmi, ‘Jason, un giorno tu dovrai badare a nostro figlio.’ E io ho detto, ‘Cosa? Che razza di genitori ha. Ha bisogno che lo protegga da cosa?’ E loro hanno detto, ‘Cerca di capire, lui soffre di, come si chiama, acqua nel cervello. E l’acqua nel cervello ti fa pensare troppo.’ Allora ho detto loro ‘Acqua nel cervello?’ E loro mi hanno detto che l’unica cura era di battezzarti con liquidi fermentati."

"Battezzo con liquidi fermentati?" ripeté Vic.

"Battezzo con liquidi fermentati. Ero… ero abbastanza allarmato davvero nell’udire quello che i tuoi genitori stavano dicendo, allora ho detto loro, ‘Non intendete forse il battezzo col fuoco?’ E loro mi hanno detto; ‘E’ un aquario, Santo Cielo, dai al ragazzo acqua di fuoco.’ E quindi, eccomi qui a farti da padrino."

"Oh, Jason, è veramente toccante." Piagnucolò Vic.

"Macché toccante. BEVI BEVI BEVI BEVI. Ecco cosa hanno detto; lo giuro su Dio." Affermò Jason.

Estrelica all’unisono: "Allora, Jason, dai un’occhiata al tuo manufatto. Che ne dici del tuo protetto?"

"Be’, vedo un esemplare alquanto raro di ciò che una bottiglia di Night Train può fare a qualcuno che ha ascoltato troppe canzoni finire e si arrampica a letto attento al battito del proprio cuore perché non ce la fa proprio a continuare ad andare a chiedere alla ragazza di ballare. Voglio dire, solo per il fatto che sono il suo padrino, non implica esattamente che devo stargli attorno ad ascoltare le sue storie senza senso. So bene che quando era troppo giovane da riuscire a parlare, i suoi genitori lo hanno portato a un pub e ha trovato la scatola dei fusibili e ha fatto saltare tutte le luci. In quel momento ho saputo che sarebbe vissuto per essere la morte delle feste di tutti."

"Oh. Grazie Jason, veramente gentile da parte tua." Disse Vic.

"Di niente, ragazzo. Di niente."

Vic tirò fuori il coltello e iniziò a intagliare leggermente le tre iniziali del suo nome sul tavolo mentre Estrelica spiava dagli angoli degli occhi per vedere cosa stava facendo, per tutto il tempo intrappolata da Jason.

Jason chiese a Estrelica dove si trovava J. Dove Dixon nei suoi viaggi e lei si sporse in avanti per usare il coltello di Vic e tracciare uno schizzo del Perù con una linea in cima per indicare l’equatore, che finì diritta per attraversare il nome di Vic.

"E’ sulla costa occidentale ora, a Trujillo, e vuole attraversare la Cordillera su fino all’equatore, poi a Bogotà per le sue ultime poche settimane prima di ritornare in Inghilterra. Gli ho appena scritto una lettera questa mattina. Spero la riceva. Usa il fermo posta in ogni città grande di cui sa passerà nelle vicinanze, ma so che non ha ricevuto alcune lettere che gli ho scritto dalle risposte che mi dà. Non so quanto resterà via, però. Lui dice fino a quando si stufa, ma… sta a lui decidere."

Vic guardò in direzione delle tavole delle freccette e vide una ragazza che riconobbe con un cappello di paglia e un nastro nero avvolto.

"Solo un sec…," mormorò e si scusò.

Estrelica si girò verso Jason e gli chiese come andava la storia dei taxi. Jason faceva l’autista da circa nove mesi con la Classic Cab Company, una flotta di tre taxi Checker originali di proprietà e gestiti da un tipo di nome Rick. Erano carri armati. Da quando aveva iniziato a guidare, Jason era stato tamponato tre volte e se n’era venuto via con tre righe di colore dallo spessore della punta di una matita sul parafanghi, mentre le altre macchine erano state trascinate via con le fiancate sfondate e gli assi piegati. Il progresso della plastica. Il taxi di Jason, il Numero 3, chiamato con maggior affetto Frank, aveva poco meno di un milione di miglia sul contamiglia. Non male per i suoi dieci anni. Tutti e tre i taxi avevano il tetto color verde bottiglia con un bordo a scacchi dalla larghezza di due pollici che correva per la lunghezza della macchina a livello delle cinture. L’unico vero problema che Jason abbia mai avuto con Frank era una perdita di fluido che comprometteva la funzionalità del servosterzo. A parte quello, Frank poteva veleggiare lungo la I-5 da Vancouver a Seattle in una fresca giornata di giugno con due mogli Amway sedute dietro che chiacchieravano amenamente, a 110 miglia all’ora, che costituivano più o meno tutto il rumore che vi era dato che il passo del traffico gli permetteva di spiegare le ali come in effetti dovevano essere spiegate.

"Mi hanno appena sparato. Pochi minuti fa. La valutavo una buona nottata quando nel salire su verso Madison vicino all’Hotel Sorrento due tipi mi hanno fatto cenno di fermarmi. Non avevo intenzione di farlo, ma un paio di dollari in più non avrebbero fatto male per cui mi sono tirato da parte, e mi hanno detto che volevano andare da Oscars, lo conosci vero, il ristorante ‘della famiglia’ sulla 21esima e Madison. Quindi ho fatto un respiro profondo e mi sono reso conto che ormai dovevo portarli. Per strada uno dei tipi si gira verso l’altro e dice ‘Senti, non ti conosco neppure.’ Allora ho pensato che eravamo tutti lì per un giro per sballare. Arrivato all’intersezione tra la 21esima e Madison, naturalmente, tutti, compreso il fratello, erano allo scoperto postati ai quattro angoli, e appena mi sono tirato nel parcheggio, all’improvviso tutti questi tipi di colore si sono arrampicati attorno al taxi. Allora uno dei tipi tira giù il finestrino e dice ‘Vattene via dal taxi, vengo dentro io.’ E questi tipi di colore fanno, ‘Ehi tu, non c’è niente dentro.’ ‘Vattene dal taxi.’ Apre quindi la portiera e si dirige al posto. Mi sono girato verso il tipo che era ancora dietro e gli ho detto, ‘Dimmi, è qualcosa di grosso o solo qualcosa di piccolo?’ E mi dice, ‘Oh, solo qualcosa di piccolo.’ Allora sto seduto e aspetto per circa cinque minuti con il contamiglia acceso e il tipo finalmente viene fuori e io inizio a uscire dal parcheggio, giusto all’incrocio dove il semaforo era rosso, e avevo già il piede pronto per schiacciare l’acceleratore e posizionato il corpo di modo che al minimo suono impercettibile mi sarei precipitato sotto il cruscotto, e ci vollero anni prima che il semaforo diventasse verde. Quando infine venne il verde, con gentilezza ho iniziato a premere l’acceleratore e subito ecco lo sparo proprio dietro al taxi, e sono volato su per Madison e oltre la collina e quando infine sono arrivato dove li avevo raccolti, era tutto un ‘Guarda, è caduta sul pavimento.’ ‘No, non è caduta, è polvere.’ ‘No, veramente, guarda, proprio qui.’ ‘No, senti, non lo è.’ Allora, ho dovuto aprire loro la portiera. ‘Su ragazzi, la notte è finita’ e li ho tirati fuori. Dieci dollari di mancia per un tragitto di cinque dollari, ma sto tremando. Hai una sigaretta?"

"Sì, sicuro" fece Estrelica, dando il pacchetto a Jason.

 

 

Estrelica e Vic, Capitolo 6, Parte B

Attorno a lui lei guidò,
parlando e cantando lui si tratteneva