Capitolo 5, Parte C

Questo è un treno

 

Si arrampicarono di nuovo su verso la ferrovia mentre Vic si teneva in equilibrio sul binario sinistro appoggiando il piede subito dopo la punta dell’altro, le braccia tese come un falco pellegrino, si riempì i polmoni e cantò ai cieli.

 

Vai a vedere tuo fratello una notte

e trovi uno scheletro che cade per le scale

rose tra i denti, un bagliore negli occhi

gli chiedi se è solo

o se gliene importa davvero

 

Ti dà il suo coltello

per non dire ciò che hai visto

quando i giornalisti ti braccheranno

Legheranno con corde la sua stanza

tireranno dentro il dragone

e nessuno lo memorizzerà se non tu

Nascondi il fatto con dolcezza sotto il letto

ma il riflesso ti brilla appena sopra il capo

e quando sei chiamato

alla tomba di tuo fratello

sotto i piedi

lui sa cosa hai dato

e te ne è grato!

 

Estrelica salì sul binario destro, si bilanciò, raggiunse il passo di Vic e continuò.

 

Vai anche a vedere tua sorella

una vampata di oscurità, un anello di compassione

le chiavi per giungere al padre, e un polso pieno di segni

Si è fatta notare dai signori

e li ha avuti tutti alla sua porta

e ha fatto sì credessero alle sue parole delicate

finché si rese conto che voleva ancor più

E lui la guardò solo negli occhi

e lei non lo vide più

solo un indistinto riflesso dimenticato

di chi lei mai saprà impressionare

mentre giaceva lì sul pavimento

per chiunque

 

Vic continuò dove Estrelica si era fermata

 

E non riuscii a darti

ciò che ti fu rubato prima

il meglio che ho saputo offrirti

l’ho messo sul pavimento

e osservavo la tua danza spagnola col copricapo

mentre t’avvicinavi alla porta

 

Estrelica fece continuare il canto

 

E pensai mai avrei visto il giorno

in cui m’avresti scrutata fino in fondo

e avresti trovato ciò che ami odiare

che mai sapesti liberare

La cecità mi colse

la vendetta mi fece un cenno

sorda e muta ecco la sola opzione sapevo vedere

quando eri con me

 

Il turno di Vic

 

Ora sei lontana anni luce

cinquecento strade fa

che s’avvicinano da est

intrappolata nell’alba

e fosti così estranea

come tutti i tuoi ieri

che mai seppi cambiare

Tu e io e l’oscurità facevamo tre

Quando eri con me.

 

Vic scese dal binario sinistro mentre Estrelica scendeva da quello destro e proseguirono nel cammino.

"Sai, questa mattina mi sono svegliato al suono di un fuco ferito che cercava di uscire dalla finestra e si è fatto male entrando. Storia della sua vita." disse.

"E qual è la storia della sua vita?"

"Un povero fuco maledetto che aveva sempre pensato di essere uno sparviero. Un giorno un porcospino gli disse ‘Cosa si prova a volare? A stare su nel cielo?’ Il fuco guardandosi le ali si rese conto che non erano abbastanza grandi per volare a tutti quei luoghi in cui era stato e mai più volò. Ha solo continuato a rivangarlo per il resto dei giorni. I piccoli appesero la sua fotografia al muro, gli chiesero di raccontare loro tutte le storie fino a saperle a memoria, quindi volarono a tutti i luoghi in cui il padre non era stato e sempre si tennero al largo dei porcospini."

"Tuo fratello… ti ha lasciato qualcosa? Qualcosa di materiale?"

"Sì, ha lasciato una nota che diceva che in Cina se sei giustiziato sono i genitori a pagare il proiettile. Mi ha lasciato abbastanza per risarcire il proiettile."

"Quanto pesa il mondo?" lei chiese.

"Novantamila tonnellate. Mia nonna ha 90 anni e le ho chiesto una volta cosa ogni anno significhi per lei e mi disse mille tonnellate. Ha appena avuto un leggero infarto in quanto le mancava mia madre perché era ritornata in aereo dove è nata per alcune settimane senza di lei; quindi ora il peso deve essere insopportabile. C’era una canzone che mi cantava molto lenta e faceva:

Abbiamo visto la tua fine e quella dei tuoi

Ti abbiamo visto stare eretto mentre ti ammazzavano

C’erano delle donne mistificate

C’erano degli uomini che furono traditi

Ti fidavi di loro perfino allora

Le tue suppliche non servirono a nulla

Anni d’inferno, eppure continuavi nel tuo canto

e io, ancora in vita, sono quello che cercavi

Me la cantava quando i miei non erano in casa."

"Cosa ti piace?" chiese Estrelica.

"Cosa mi piace? Mi piace il modo in cui gli strumenti a corda sparano l’uno all’altro pompando su e giù prima del finale dell’Inno alla Gioia, e l’odore di bruciato dei treni che ha un sapore come se si fossero appena affondati i denti nei binari vivi. Il sussurro di una zanzara vicino all’orecchio e il morso del mescal e di come ti porta una lacrima all’occhio un minuto e ti spinge in su la gola attraverso il collo poi. Il bacio di una Lucky Strike sulle labbra, i valzer di un folle sanguinante, il luccichio della calura che sale dalla strada, il lato del colle incastonato di alberi all’imbrunire quando i fantasmi ritornano e aprono le scommesse che mai ce la farai a raggiungere l’altra sponda del fiume. Il ronzio del frigorifero alle tre di mattino. Il modo in cui una donna si china per raccogliere un frutto dell’ippocastano, l’ultimo sospiro prima di tirare fuori la carcassa dal letto per guidare fino all’alba verso l’aeroporto per un sandwich grigliato al formaggio e prosciutto prima che l’aereo di lei arrivi. Lenzuola sferzate al vento. Un’ultima candela tenue vicino al bagno e la punta di una vanga sul collo di un serpentello. L’espressione di qualcuno quando inciampa in se stesso. La luce sotto la porta che si spegne. Le cose che dimentichi. Lo stringersi nelle spalle di una persona anziana. Le spalle di un nuotatore. Il modo in cui si riesce a rilassare la testa alla parete seduti a letto e si sente un ehm in gola nell’osservare i disegni sul soffitto che la scorsa notte tracciavano caverne e questa notte il mantello di un picador nel momento in cui è trafitto da dietro. Un tavolo apribile con una ragnatela che si stira in un banco a listelli rotanti e un pompelmo con un pezzo tirato via proprio nel mezzo del tavolo."

Estrelica osservava in avanti i binari del treno. Vic la guardò e parlò.

"Chi sei tu ora, chi eri allora, chi sarai?"

"Non penso di essere in grado di rispondere perché penso sempre che, o la mia vita è finita o ci vorrà ancora del tempo prima che inizi. Mi dà un senso di fissità, comunque. Passo il tempo a far implodere il tempo. Come quando ci si alza troppo presto al mattino e tuttavia ti vesti e allora ti siedi al tavolo dove filtra la luce, viaggiando tra i pensieri fino a quando il sole è abbastanza alto in cielo da sapere che è tempo di mettere insieme le cose. Mi assumo le vite dei luoghi che mi chiamano, come la stanza sopra il saloon con le tende di pizzo e un signore giù che urla ‘E’ vero! Aspetta il telegrafo domani mattina—vedrai se me ne importa.’ Sdraiata in un porticato di marmo con i pilastri da ambo i lati mentre la figlia di mia sorella si china e sospira ‘Non viene, ma io sono qui.’ Seduta al piano di sopra nella stanza della zia con i genitori che si vestono per andare in spiaggia con la macchina nera dello zio e il tetto abbassato. Quando vai in treno da Dublino a Bray e si scorgono le case dopo gli abitati della classe media e poi subito dopo Sydney Parade, subito dopo che gli occhi si sono abituati al muro di cinta, d’improvviso scompare e C’E’ IL MARE IRLANDESE, e Sandymount che si stira fin laggiù alla Torre Martello.

"E’ lo scomparire ciò che prediligo. Non sarei contenta di non avere nessuno vicino. Nessun punto di ritrovo al quale recarmi o la vecchia alla lavasecco il cui figlio ha un testicolo che ancora non è caduto. Ecco ciò di cui ho bisogno. Ma ho bisogno pure di poter scomparire. E’ l’unico momento in cui riesco a spiegare tutto a me stessa.

"Reputo di non aver mai capito perché due persone non possano essere loro stesse quando sono sole insieme."

"Non lo trovi strano—" Vic s’intromise.

"Trovo sempre le persone che voglio incontrare soltanto camminando per strada e quando i nostri occhi si fissano so bene che non li vedrò mai più. Avrebbero di sicuro un arresto cardiaco se solo m’avvicinassi a loro.

"Mi disgustano e stancano coloro che prendono le cose così dannatamente a livello personale, come quando si esce con gli amici e tutti hanno i loro ‘altri’ e non c’è nessuno con te quella notte, allora inizi a flirtare con tutti i loro. La mattina successiva hai quindi perso tutti gli amici," lei rise.

Vic alla cieca aprì il portacassette di Estrelica, a caso ne scelse una da ascoltare e la diede a Estrelica che la estrasse dalla protezione e l’inserì nel registratore. Una canzone echeggiò contro il fondo del cielo e rimbalzò tra i loro passi strascicati sui traversini dei binari e la corsa casuale delle automobili che lampeggiavano rapide sulla strada parallela a loro. Vic iniziò ad aprire la bocca nel momento in cui Estrelica abbassava il volume della musica.

"Sai," iniziò Vic, "quand’ero piccolo, forse la prima volta che mi misero nella trinciatrice, pensai tra me: Ho capito. Vivrò fino a quando la vita mi dimostra che sbaglio."

"Se fosse per questo, avrei abbandonato tutto molto tempo fa."

"Intendo dire, gli altri hanno sempre cercato di provarmi che ho sbagliato, ma mai la vita… per lo meno finora. Sembra arrivi al punto dove quelli che sanno riconoscere il tuo sorriso sono così contenti di trovarlo, e quelli che non lo riconoscono insistono nel dire che sei il tipo di persona capace di entrare in un supermarket con un Uzi. E ci vorrebbe tanto di quel tempo per spiegare tutto a certa gente, ma ti rendi conto che se te ne stai alla larga, ritorneranno in tempo. Deve essere questo il prezzo da pagare per il biglietto qui. Che un sacco di persone provano a fotografarti nudo solo per mostrarti ciò che sembri nudo."

"Ti ricordi perché all’inizio hai voluto essere qui?" chiese Estrelica.

"Forse per il whisky, immagino. Forse per i cigni." Rispose Vic.

"Voglio dire, guidano sempre vicino ai cimiteri. I loro amici muoiono. Le loro famiglie muoiono. Pensi sappiano quanto tempo resta. Ma se parli con loro usando i loro termini, vi è abbastanza logica in quello che fanno per farti pensare un po’. Secondo me, l’unica mia debolezza è che se ascolto la storia di qualcuno, mi risulta perfettamente sensata. Ma quella non è una debolezza, mi pare, se è una debolezza, allora cos’è la forza?" chiese Estrelica.

"La forza è l’essere capaci di guardare nella canna del fucile del tuo esecutore e sapere perché ti sta uccidendo." Rispose Vic.

"Se questa è forza, allora chi è Cristo?"

"Cristo è l’unico che ti dà l’ultima sigaretta."

Estrelica annuì, fece una pausa e chiese "Allora, cosa chiedi alla vita?"

"Oh, non molto. Solo che ogni giorno sia completamente diverso da tutti gli altri, in meglio o in peggio. E se in peggio, sarebbe meglio non lo vedessi arrivare." Replicò.

"E’ per questo che mi hai parlato?"

"No, ti ho parlato perché da dove eri seduta non riuscivo a capire se eri un ragazzo o una ragazza!"

"Che differenza fa?"

"Le ragazze mi spaventano."

"Le ragazze ti spaventano?"

"Oh, sì. Le ragazze ti possono uccidere. I ragazzi possono solo farti del male fisico; ma una donna può ucciderti, così, come niente."

"Ti ho mai ucciso?"

"Mah, se avessi pensato che avresti potuto uccidermi, ti avrei lasciata sola."

"Pensi mai alla bellezza come a una cicatrice?"

"Una cicatrice?"

"E’ quello che succede ad alcuni miei amici che sono troppo belli, tutti li lasciano soli. In effetti passano la vita sentendosi brutti perché gli altri sono troppo intimoriti per tentare perfino di parlare a qualcuno tanto bello."

"Ma coloro che riconoscono la bellezza l’avvicinano."

"Non proprio, ho molti amici che hanno atteso tanto che stanno morendo dove sono."

"Eppure, io ho tutti questi indirizzi…" Vic disse.

"No, non intendevo dire questo, volevo solo dire…"

"Le bocche dei cavalli, è di questo che stiamo parlando?"

"Penso che l’argomento fossero le cicatrici" rispose Estrelica.

"Osserva: Una cicatrice."

Vic alzò la camicia per mostrarle uno sfregio che sembrava un tatuaggio conficcato in profondità sul cuore.

"Come te lo sei fatto?"

"E’ stato un punk nella Baia Area."

"Cosa…"

"Oh, gli ho solo fatto le carte. E’ stata l’ultima volta che ho letto a qualcuno le carte."

"Le carte? Solo per avergli letto le carte?"

"Sì, da allora ho lasciato che la gente scoprisse le cose per conto proprio. Questo è tutto quello che si può fare per gli altri prima che inizino a odiarti per ciò che mai sono riusciti a far fronte in loro stessi."

"A volte mi sono presa in giro," disse Estrelica. "Spesso si finisce in un gioco a strip poker a supplicare gli altri di prestarti dei vestiti."

"Ah, ma questa è la parte migliore dello strip poker, è che c’è un punto in cui si perde. In alcuni giochi continui a perdere e perdere pur continuando a pensare ‘solo ancora un’altra mano, solo un’altra mano’…"

"Un eccesso di fede o un eccesso di dubbio."

"Non è mai comunque una questione di eccesso. Sei sempre solo nell’angolo contro il muro prima di renderti conto che devi ballare attorno ai proiettili fin quando finisce l’intera riserva."

"E poi?"

"Poi corri a perdifiato al negozio dei pegni e ti tiri un po’ su." Vic fu costretto ad ammettere.

"No, non vai diritto al negozio dei pegni."

"Allora che fai?" chiese Vic.

"No, impari a tenere le carte un po’ più strette al petto e le conti sempre."

"E dopo averle contate, e vinto il banco, te ne esci a tasche piene…"

"Cosa pensi dei rischi? Alcuni sono naturali e alcuni non lo sono, ma li devi prendere, al di là di quello che ti va, solo per sapere in che consistono."

"Allora, se io venissi da te e ti chiedessi di riportarmi a casa, cosa faresti?"

"Non so. Probabilmente ti darei una cartina. Una cartina molto vaga."

"E dell’amore?" chiese Vic.

"Una volta ero innamorata. Di me stessa. Mi è però successo di avere a un certo punto un’età molto impressionabile e credevo a quello che tutti dicevano di me. Mi ci vollero anni per riuscire a vivere con me stessa di nuovo. Ecco cosa succede quando la concentrazione si spezza."

"Di quanto s’è spezzata?" chiese Vic.

"Avevo un senso del rischio troppo sviluppato per riuscire a gestirlo, e tu sai che le stranezze possono essere così astronomiche da non far altro che girarsi a tuo favore. Dato che sono una ragazza, o tutti pensano io sia una ragazza, che può sconvolgere alquanto la mente. Non dirmi neppure che anno è, perché non fa alcuna differenza e mai l’ha fatta. Dire che le cose ora vanno meglio è come dire che gli argentini ora prendono dieci centesimi al giorno quando erano abituati a prenderne sei. Non sto cercando di litigare, ma sai cosa voglio dire, un sistema di tubature. Ecco dove risiede tutto."

Vic non sapeva come rispondere e quindi non lo fece.

"Tu sei un maschio, sei bianco. Hai tutto."

"Suvvia, smettila ora."

"Sai cosa intendo. Non parlo di te, ma di quelli come te."

"Le catene sono catene. Le tue sono catene femminili; le mie catene potrebbero non essere femminili, ma sono catene comunque."

"E che tipo di catene hai?"

"Le catene che gli uomini hanno fatto per me sono le catene della competizione. E le catene che le donne hanno fatto per me sono catene per il fatto di non essere donna."

"Allora le catene che le donne hanno fatto per me sono le catene di non essere mai capace di stare in piedi da sola. E le catene che gli uomini hanno fatto per me sono catene che mi negano perché non sono un uomo."

"E se tu fossi una regina? Una regina che era stata rapita alla nascita e allevata tra coloro che non sapevano far meglio. E se un giorno, mentre dormivi sotto un albero al bordo di una strada, qualcuno di corte passasse e riconoscesse il tuo marchio di nascita e dicesse ‘Tu sei la regina che è stata rapita alla nascita, e tutto questo, tutto quello che riesci a vedere, tutto questo è tuo.’ E ti riportassero al castello?"

Estrelica sospirò e mormorò "Darei una di quelle feste..."

Camminarono un pezzo prima che uno dei due parlasse. Fu Estrelica a rompere il silenzio.

"Continuo a pensare a questo ragazzo. Il tipo del piedistallo, come dici tu, ed è come, ritorna dopo che sei passata per tutte queste cose tra sessi diversi; capisci?"

"Sì. Stattene lontana dagli uomini. Ti confondono la testa."

"E le donne?"

"La stessa cosa. A me piace stare vicino a gente che sa inginocchiarsi di fronte a qualsiasi cosa che è più grande di loro."

Estrelica e Vic, si ascoltavano a vicenda e si immergevano completamente in parole che nessuno di loro aveva mai avuto la possibilità di infilare insieme per il consumo di qualcun altro. I minuti si allungavano in anni, la storia faceva salti mortali, l’ossessione correva in tondo agli alberi di maggio, racconti di coraggio e di umiltà che ambedue sapevano si allineavano l’uno dopo l’altro come un palazzo-della-fama abbandonato di eroi locali.

Più ascoltava i suoi racconti, più si tirava indietro stupita, volendo solo credere stesse srotolando storie di guerra e non di pesci. Queste cose capitano soltanto nei libri o nei film, pensava tra sé. Ma quando lei aprì bocca e iniziò a narrare storie tanto surreali e incredule, si rese conto che anche Vic forse ascoltava unicamente per educazione. Pensava a J. Dove e alle lettere che le aveva scritto nel corso dei viaggi riportando avventure come se le avesse scarabocchiate direttamente dalla televisione tardi di notte in un moto ubriaco di rabbia.

Diede un’occhiata a Vic e ammirò il modo in cui si immergeva nel tessuto dell’esistenza. Ancora ospitava un riso tanto cordiale malgrado le profondità e le altezze ingarbugliate che le sue parole illustravano.

Vic faceva finta di essere assente nell’esporre i racconti, ma non poté non notare le mani di lei che si riscaldavano alle fiamme che guizzavano dalle sue parole. Percepiva ammirazione nello stesso modo in cui aveva ammirato i mangiatori di spade da bambino, allora alterò in modo drammatico l’esposizione lottando per enfatizzare se vi riusciva che i livelli che aveva attraversato e i bui drammi che aveva dovuto sostenere non erano forse che i più volatili combustibili di una conversazione, la cristallizzazione di avventure abbastanza tossiche da lasciare chiunque assetato dei campi negletti dell’idillio amoroso, ma che il basso lamento della strada è un gioco d’azzardo impareggiabile. Forse il più lucente, il gioco più tentante che mai nessuno sarebbe stato in grado di pagare, ma che solo la semplicità del cuore e il vigore del bastone avrebbero saputo procedere attraverso rovi e sterpi per ritrovarsi a trascinarsi per strade che loro stessi hanno costruito che conducono a pascoli in attesa da anni di occhi tanto follemente coraggiosi in grado di apprezzarne il piacere, il rifugio, il magico e la gloria.

Vic stese la sua vita come una scacchiera nella speranza di mostrare un giorno ai suoi figli che non c’è niente che assomigli a una linea diritta. Tanti viaggiatori che aveva incontrato aborrivano la nozione di portare le ciabatte, ma Vic impacchettava con le altre cose anche le ciabatte ovunque si recasse così sempre si sarebbe sentito a casa. E proprio quando percepiva che stava per essere ingoiato nelle sabbie mobili della politica locale e dei rapporti incestuosi, si ricordava del vecchio sentiero di fuga che sempre lo aveva aiutato.

Non è che sparisse ma si ritirava in un mondo che conosceva molto bene di mattine pigre e serate estatiche e teneva cari i pochi secondi dopo il risveglio in qualunque posto si trovasse, proprio prima di pensare tra sé ‘Okay, dove sono? Cosa sto facendo? e come riesco ora a svignarmela da qui?’ Sapeva che il richiamo voleva avesse una buona donna in mente e malgrado il sorriso che lo proteggeva, i dadi che lo tradivano e la leggenda che lo circondava, tutto quello che desiderava era guidare la sua moto e non essere molestato dall’uomo.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 5, Parte D

Questo è un treno