Capitolo 5, Parte B

Questo è un treno

 

Estrelica trovò un nastro e lo inserì in una specie di registratore appeso a dei fili nel cassetto portaguanti. Se ne andavano rimbombando per le strade della città mentre il tempo fluiva e rifluiva tra il chiaro e lo scuro, il bagliore e il tetro. Vic iniziò a parlare di un ufficiale di polizia che aveva risposto a una chiamata di violenza domestica e aveva bussato alla porta di un appartamento, aveva quindi buttato giù la porta quando la voce dentro insisteva se ne andasse. Il poliziotto sparò e uccise un giovane operaio di colore che aveva appena finito di lavorare, andò a casa a farsi una canna per rilassarsi, e alzò un po’ troppo il volume per la pazienza dei suoi vicini. Ciò che i vicini udirono erano le urla di una soap opera, e ciò che il poliziotto vide quando irruppe nell’appartamento era un giovane di colore che puntava il telecomando all’ufficiale di polizia supplicandolo di andarsene.

Estrelica parlò del lavoro che svolgeva di quando in quando con le madri non sposate e con quanta frequenza incidenti simili si verificavano, in effetti aveva notato che i poveri sapevano risolvere i loro problemi in modo più realistico, essendo a conoscenza dei propri limiti, di coloro che invece avevano soldi e sicurezza e vivono con un’avidità tumorale che li porta a distruggere ciò che non sanno controllare.

Vic cominciò a innalzarsi nell’etere con alcuni termini di psicologia e sociologia ed Estrelica lo lasciò parlare, sapendo che ci sono più di 365 diverse stagioni con più di 5 miliardi di forme diverse di psicologia e sociologia. Ma dovette dire qualcosa.

"Scopro di continuo che le persone che incontro sono incredibilmente intricate e fuori dal contesto di chiunque altro e che ci troviamo a un punto dove niente più ha valore come riferimento. Ed ecco perché ce ne siamo scappati da casa anni addietro, la solitudine ha preso piede, e quindi tutti abbiamo tentato il suicidio. Ascrivilo al divorzio o alla bomba o alle droghe o a qualsiasi altra cosa, e ora sembra che tutti siano d’accordo nel constatare che il 20° secolo, o per lo meno dalla rivoluzione industriale, è stato un tentativo, un tentativo di estremo fallimento, che porta tutti a stringersi l’uno all’altro fin quando si trova di nuovo la propria dimora. E, naturalmente, ognuno ha una diversa visione di casa, e tutte le strade vi conducono."

"Sì, e non ti sembra che quando parli di ‘casa’ a qualcuno, è come se si invocassero i poteri della guarigione o qualcosa di completo in un’unica parola. Puoi prendere la persona meno capita che conosci e quella più compresa e le puoi ridurre ambedue in lacrime con la stessa parola. Come il Natale; il Natale significa casa, malgrado quello che esprime o ciò in cui si è tramutato. E non ha alcuna importanza dove ti capita di essere alla Vigilia di Natale, sicuro come l’inferno speri ti dia la sensazione della casa.

"Avevo un amico che si era ritirato da eremita nella sua fattoria. Senza telefono. Possedeva un livello abbastanza elevato di sarcasmo e la maggioranza della gente non sapeva come trattarlo. Ma ogni Natale tirava fuori le decorazioni che aveva fatto o collezionato lungo gli anni e le metteva insieme nel modo appropriato." Vic spiegò.

"E’ abbastanza divertente osservare la gente durante il periodo natalizio," fece Estrelica continuando il filo dei pensieri di Vic, "perché infine trascendono la staticità della vita quotidiana e in realtà iniziano a parlarsi a vicenda. Dura solo un po’ di tempo, ma per lo meno è qualcosa."

"Tutte le Vigilie di Natale, dopo l’imbrunire, in qualunque luogo mi trovi, mi metto la giacca e la sciarpa e gli stivali e faccio un giro tra le case. Proprio nel bel mezzo delle strade cammino, girando da questa parte e dall’altra, sbirciando in tutte e prendendo su di me le vite di coloro che stanno celebrando, immaginandomi come sarebbe festeggiare con loro."

"Loro gli infami. Chi sono loro, comunque?" chiese Estrelica.

"Ah, andrebbero anche bene. Solo che qualche volta prendono le cose troppo a livello personale."

"Sì, abbastanza innocui più o meno. Ma come membri di una squadra hanno molto da imparare. Non ti viene voglia di portarli tutti fuori a bere una birra e mangiare qualcosa, forse anche un po’ di musica, poi riportarli a casa tua per fare in modo che si rilassino?" chiese Estrelica.

"No, voglio farne degli schiavi. Far pagare a tutti loro i miei brutti ricordi." Rise Vic.

"Sì, forse hai ragione," ammise Estrelica.

Estrelica guidava, a volte si dava un’occhiata nello specchietto di lato che mai usava per controllare il traffico dietro. Ogni volta che si scopriva a lanciarsi una rapida occhiata si sorrideva in modo aperto per nessunissima ragione se non la coscienza di essere ancora qui. Pensava a J. Dove Dixon e se lui già avesse udito la sua supplica di un’anima compagna per averle fatto incrociare il signore misterioso che stava portando in giro per la città. Troppo presto per considerarlo un’anima compagna, comunque, pensò. Forse un complice soldato a questo punto, per lo meno.

"Allora, sei solo un girovago?" inquisì Estrelica.

"No, non sono senza meta. So dove sto andando. Semplicemente mi distraggo." Rispose Vic.

"Cosa ti distrae?"

"Il caos, l’ordine; quasi tutto," rise.

"Cosa hai visto?"

"Qualche stato, qualche città, qualche donna, qualche uomo, non troppi soldi, solo abbastanza amici… che si odiano l’un l’altro. Troppo di me stesso…," strascicò la voce prima di continuare. "Così, cosa te ne fai del tipo del piedistallo?"

"Mah, sembra stia cercando una sostituta e suppongo pensi che io vada bene. Il piedistallo era comunque una ben misera cortina di fumo, devo ammettere."

"E—" inquisì lui.

"E probabilmente porterò la lettera che ho scritto al posto dove lavora il più presto possibile. E parlando di possibile… e parlando di possibile… e parlando di probabile… e parlando di… SUVVIA, BEATRICE, IO SO CHE CE LA PUOI FARE BEATRICE!!"

"Che succede?" chiese Vic.

"Abbiamo già usato un dollaro e tre?" chiese Estrelica.

"Negalo, funziona sempre."

"No, non penso Beatrice sia tanto ingenua da credere a questa. Beatrice sa esattamente quanto un dollaro e tre siano."

La macchina ce la fece a tirarsi fino alla discesa che portava ai binari a cui all’inizio Vic aveva accennato.

"Penso questa sia la fine della linea. Vuoi chiudere la portiera e prendere il registratore dal cassetto portaguanti. E anche i nastri." Chiese lei.

Estrelica fece un giro intorno alla macchina per accertarsi che fosse al sicuro e si allontanò guardandosi indietro valutando fosse ben ferma sul dosso della strada.

"Ritorno subito, Beatrice. Non ti preoccupare, neppure per un secondo!" disse Estrelica con calore.

"Sì, Beatrice; saremo di ritorno con la birra, pazienta un po’." Fece Vic confortante.

"Hmmm. Una birra andrebbe bene ora." Mormorò lei.

"Sì?"

"Sai di un posto dove non ci chiedano soldi?" Lei chiese.

"Penso di sì."

"Ottimo."

Lasciarono Beatrice dietro a loro, Estrelica con la borsa in una mano e il registratore nell’altra, Vic con i nastri, girandosi di quando in quando per vedere la spossatezza degli occhi di Beatrice. S’incamminarono lungo i binari che costeggiavano la baia e iniziarono il loro pellegrinaggio. Vic faceva strada.

"Questa mattina ero distesa sull’erba di fronte a casa mia e stavo scrivendo una lettera quando una piccola bambina bionda, due anni in tutto, si avvicinò al prugno vicino a me e lo puntò con orgoglio e disse ‘Sedia.’ E lo guardai e devo dire, aveva ragione. Non vi si sedette sopra, comunque. Diede solo un’occhiata al suo capolavoro e fuggì via. Il padre stava lavorando alla sua Vauxhall e mi disse che il giorno prima lei aveva rubato una prugna proprio dallo stesso albero quando la madre le aveva detto di non farlo. Le hanno fatto una fotografia, così la polizia potrà identificarla se lo farà ancora."

"Iniziano così presto, non è vero? Cosa ha detto la madre?"

"Mah, la madre ha i suoi problemi. Avrebbe dovuto sposare il padre tra sei settimane ma il negozio di abiti da sposa dove aveva ordinato il vestito è fallito lo scorso sabato, allora tutte le future spose si sono raccolte attorno al negozio e infine è stato loro detto di andare dallo sceriffo, che ora deve cavarsela con 30 vestiti per 700 donne."

"Forse se lo farà lei o forse…" pensò Estrelica a voce alta.

"Non so. Penso andranno tutti all’allevamento di conigli del padre di lui. C’è un gran prato lì vicino e si scambieranno i voti nel giorno più lungo, senza pensare a quello che è loro capitato di mettersi indosso quella mattina. Lei ha un vestito superbo cremisi plissettato e le ho detto che sarebbe stato perfetto, con uccelli del paradiso tutt’intorno. Davvero bello. Dice che ci penserà.

"Penso che se dovessi sposarmi lo farei andando alla festa. Lascerei la casa di mio padre con il mio amante e la mia famiglia e gli amici dietro a me e il vicario davanti che cammina all’indietro così potrebbe vederci di faccia e leggerci la cerimonia per strada, attento a camminare attorno alle buche e al fango. E vorrei mio fratello dietro di me con la chitarra, a suonare qualche vecchia canzone; non so cosa. E stiamo andando a vedere le mie sorelle che ballano a una festa a circa un miglio dalla casa di mio padre al salone. Pensi che il tempo sia sufficiente per una cerimonia?"

"Più che abbastanza," rispose Vic.

"E forse mi vestirei di nero e arancione. Arancione per il modo in cui rima con tutti gli altri colori dell’ultimo raccolto, e nero perché era il colore preferito di mia madre, ma ora non è più con me. Ma sulla via del salone passeremo dal suo balcone e ci fermeremo a riposarci un momento così mi potrà vedere nel mio giorno. E un’intera cascata di facce sarà al ballo. La nonna suonerà il piano nel momento in cui ci intrufoleremo dentro, poi si alzerà e farà la Cakewalk, questa vecchia canzone lenta che ama e… non penso ci sarà dello champagne. Penso ci sarà tutto dalle bibite ai liquori forti. E le mie sorelle balleranno. Zeda aprirà il ballo del macabro, Dionne vi si unirà con i veli, e Si la completerà danzando il ceili. Conosce i passi più incantevoli che ha perfezionato quando faceva la portabandiera degli addetti ai lavori stradali. Stava lì con il segnale Alt/Rallenta tutto il giorno nel sole cocente e tratteneva il traffico caotico con i suoi movimenti. Era convinta tutti la odiassero perché mai girava quel maledetto segnale, ma le dissi che l’applaudivano, ‘Stanno applaudendo, Si. LORO TI STANNO APPLAUDENDO!!’

"Non si fanno mai sentire, le mie sorelle. Tutto quello che hanno in comune è la danza. Si incontrano ogni due settimane per ballare, e le feste le tengono indaffarate, ma al di là di questo è come se non sapessero mai che farsene della notte."

"Mio fratello ha deciso di averne abbastanza proprio quando ne avevo più bisogno," iniziò Vic. "Era sempre più avanti di me di qualche libro e di qualche bottiglia e andava solo di corsa. Ha tagliato il ghiaccio nell’Antartide e ha aperto vie dal Diavolo-sa-dove fino su a Karachi. Ha conosciuto il mondo come il suo corpo e voleva scoprirlo centimetro per centimetro. A volte non potevi neppure toccarlo perché guardandolo in faccia avresti visto la battaglia più feroce mai avvenuta. Riusciva a ingoiare intere opere e sputarne fuori le melodie sul sibilo di un centesimo che teneva in tasca. Laddove la maggioranza delle persone seguono il proprio cuore, lui seguiva l’anima e faceva dei salti che non avresti capito per anni. Gli era stata data una mente brillante che lui stesso non sapeva capire. Tante persone cercano di scalare la benedetta montagna, e lui ha passato la vita cercando di ritornare giù per spiegare ciò che aveva visto. Riusciva a risolvere un problema nel tempo necessario per fumare una sigaretta e portava una cintura come quella di Sansone. Era alto solo 5 piedi e 8 ma stava diritto come un gigante e quando ti diceva quello che stava per fare, avresti giurato che già l’aveva fatto e ritornava sui propri passi. Quando era solo era gigantesco, ma quando era con chiunque altro trovava l’altezza che gli altri volevano avesse e volentieri vi si adattava.

"Stendeva una mappa della sua vita con liste che suonavano tipo, ah… per esempio, dicevano NATALI: Oslo, Vermont, Gerusalemme, Darwin. ESTATI: Ipanema, Barcellona, Austin. Cose come queste.

"Una volta era a Calcutta e stava rileggendo L’Orso Più Grande. Ti ricordi dell’Orso Più Grande in terza elementare? Rileggeva il libro tutte le settimane nel Giorno della Biblioteca in terza, e quando era a Calcutta a lavorare sulle strade ha chiesto gliene mandassero una copia. Mi scrisse una lettera e tutto quello che diceva era, ‘Non cercare mai l’orso più grande.’ Hanno mandato a casa il suo corpo la stessa settimana che mi stavo ingolfando nell’auto-commiserazione in seguito a una rottura orrenda con qualcuno. Abbiamo messo a dormire il suo cane e lo abbiamo sepolto con lui e l’ho sentito entrare nelle mie scarpe mentre ripulivo la sua stanza pochi giorni dopo il funerale. Una volta mi sorprese a leggere qualcosa che aveva scritto e che aveva nascosto con cura nella sua stanza e mi colse dal dietro e disse ‘Non permettere mai che ti prendano alle spalle.’

"Amava il miele, e tante estati ci sedevamo nella sterpaglia sul fiume e lo guardavo mentre si versava il miele su tutta la lingua."

"Hai altri fratelli?" chiese Estrelica.

"No. Me ne hanno dato solo uno." Replicò Vic.

Le fece un cenno, "Vieni qui. Voglio mostrarti qualcosa."

L’allontanò dai binari ai massi nei pressi della linea d’acqua e si fermò vicino a un sasso anonimo che si sporgeva con i resti di qualcosa inciso in pieno rilievo. Era la figura di Calipso con il viso completamente consunto.

"Non vi è alcuna registrazione di lei in città. Neppure nei libri storici della zona o in qualsiasi altra parte." Disse Vic.

Estrelica bisbigliò. "Chi sei?"

"Solo qualcuno a cui piace camminare. Continuiamo a camminare."

 

Estrelica e Vic, Capitolo 5, Parte C

Questo è un treno