Capitolo 5, Parte A

Questo è un treno

 

Il 5 Point Cafe è localizzato proprio nel cuore di Seattle a un’intersezione di cinque vie intessuta da un’arteria principale e tre o quattro altre ramificazioni, una delle quali scivola proprio vicino al 5 Point. Casa di Charlene, che fa un martini vodka perfetto, un ottimo Reuben sandwich e una squisita insalata di patate. Gli svedesi con la punta argentata; il guscio di tartaruga largo quanto un pneumatico misura quindici appeso sopra uno dei separé… C’è un tipo che dal 1958 va sempre al 5 Point a pranzo e offre un pasto a tutti ogni volta che le carte per il divorzio vengono accettate. Una volta nel ’62, una nel ’69 e infine una terza nell’88 quando entrò ed elargì libagioni a tutti.

Il lato del ristorante del 5 Point è tanto luminoso quanto è in penombra quello del bar. L’unico vantaggio dello stare seduti alla luce è il ben noto Thunder Omelet ripieno di funghi, peperoni verdi, salsiccia, pomodori, prosciutto, zucchini, formaggio, dolcetti alla menta, chicchi di caffè ricoperti di cioccolato, qualche Chesterfield Kings, molto probabilmente qualsiasi cosa si desideri potrebbe trovare un suo luogo architettonico nella delizia che costituisce una colazione avanzata. Il caffè, lì permane un punto di domanda se lo si beve per vivere, ma dopo alcune tazze quando la conversazione si è spinta su chi sta civettando con chi, la staticità che si costruisce attorno al rivestimento dello stomaco d’improvviso si dirige diritta alla giugulare solo per virare all’ultimo secondo e proiettarsi su nella parte posteriore del capo dove schiaffeggia esatta lo stesso punto che s’infiamma dopo quattro peperoncini messicani. La legislazione vi si è applicata per dichiararla una sostanza sotto controllo e da Vienna e Bonn hanno invitato specialisti forensi per determinare l’effettiva configurazione chimica della sostanza, ma fino al momento in cui viene steso questo scritto, nessun’evidenza consistente è stata documentata o inviata ai canali competenti.

Aaaa, i porta-ostriche, le candele con gli insetti intrappolati su ogni tavolo nei vari comparti, e un gabinetto dove si deve pisciare sul pavimento… che altro si può chiedere?

Vic si ritrovò in questa gran Mecca vicino al ventilatore che stava arrugginendo con la schiena al muro, un qualcosa che gli ricordava la lettura dei dieci comandamenti di Malcolm X. Nessuno dei soliti era già arrivato, ma era comunque troppo indaffarato a prender respiro per voler aver a che fare con la compagnia. Charlene continuava a portargli Bloody Mary su Bloody Mary e un debole pensiero si fece largo nella mente che forse avrebbe dovuto spostarsi sulle birre rosse, ma lo lasciò cadere come lasciava cadere tutti i pensieri e fissò lo sguardo al di là del vetro della finestra di fronte e lo focalizzò sul palazzo in cima alla collina in lontananza, che non era affatto un palazzo ma piuttosto una vecchia casa padronale dall’aspetto statale di una scuola pubblica di circa otto anni che non era più una scuola pubblica, ma era stata recentemente convertita in un condominio piuttosto elegante e spazioso. L’unico momento in cui in realtà apprezzava l’artificio era di notte quando la stringa delle luci delimitava la facciata ricordandogli Harrods di Natale. Pensò a dove avrebbe potuto passare il Natale, e decise, al diavolo, che il 5 Point valeva qualsiasi altro posto. Cercò di pensare se vi fosse qualsiasi altro significato oltre a quello meramente poetico nel voler passare il Natale a Gerusalemme dove non conosceva nessuno, salvo Maria Maddalena, che in ogni caso aveva quasi certamente già fatto piani per conto suo.

Raggiunse il bicchiere e lo portò alle labbra quando notò qualcuno seduto nel separé vicino alla finestra principale. Qualcuno che non aveva notato entrare nel caffè. Non riusciva a capire chi fosse per il fascio di luce circostante. Tutto ciò che riusciva a distinguere era qualcuno che scriveva in modo febbrile. Cercò di mettere insieme quello che poteva dalla silhouette, cosa che in effetti non lo aiutò perchè la possibilità di scorgere un pomo d’Adamo veniva oscurata dai riccioli e da una testa abbassata. Cercò di non concentrarsi solo sul mistero della persona e attese che la testa si alzasse per controllare l’orologio sulla parete e quindi continuasse a scrivere tanto velocemente quanto si era fermata per gettare uno sguardo all’orologio.

Nella frazione di tempo in cui lei aveva sollevato il capo, lui fu in grado di discernere che era avvicinabile ma non necessariamente amichevole, indaffarata ma non necessariamente ossessionata, carina ma non necessariamente bella, forte ma non necessariamente dura, e pulita ma non aveva necessariamente appena fatto un bagno. I pensieri gli si affollarono nella mente per schizzargli un ritratto della vita di lei. Se aveva fede o era in dubbio; se camminava diritta sui sassi in giardino o se si fermava per rigirarli e guardare cosa vivesse sotto; se aveva permesso a un’istituzione di istruirla o se si era istruita da sola, se sapeva come collegare lo stereo in macchina; il cucchiaio al di sopra della forchetta; o che l’Alto Volta veniva ora chiamato Burkina Faso.

Si sentì ragionevolmente sicuro delle supposizioni fatte, ma apprezzava il fatto che le viscere sapevano abbastanza da capire ancor più. La sua mente nuotava tra quello che aveva deciso di fare della giornata e come far combaciare il tutto in modo nitido con questa silhouette intrigante circondata dalla luminosità.

Alzò lo sguardo e si trovò a guardarla in pieno viso. Nessuno dei due seppe che fare nel momento in cui ambedue si resero conto che l’uno aveva scoperto l’altra inavvertitamente. Lui lasciò che le sopracciglia alzassero gli angoli delle labbra mentre spostò leggermente la testa, permettendole di sapere che lei aveva vinto. Lei fece guizzare una risposta simile, abbassò la testa di nuovo e continuò a scrivere.

A Vic, abituato a fare l’autostop e ad incontrare gli altri subito senza preoccuparsi delle pratiche preliminari nell’invadere lo spazio personale degli altri, non veniva in mente alcuna ragione per la quale avrebbe dovuto sprecare altro tempo così si alzò e s’avviò verso il tavolo dove lei era ancora immersa nello scrivere e si chinò per parlarle nel momento in cui lei alzò la testa, intuendo la sua presenza.

"Mi puoi portare a casa o devo semplicemente andarmene all’inferno?"

"Potrei portarti a casa. Potrei anche trascinarti per l’inferno." Lei lo rassicurò.

"Basta che si trovi sulla tua strada…". Lui aggiunse.

"Va bene, tra un po’. Devo finire questa." Disse rapida.

"Scrivi una lettera?" Bisbigliò sedendosi al tavolo.

"Devo ancora sistemare questa cosa." Offrì lei con spontaneità. "Non vi è nulla di peggio che cercare di convincere qualcuno che non si vale quello che l’altro vorrebbe credere."

"Sembra una storia nota." Ammise lui.

"Voglio dire, si deve forse contestare una cortesia banale? Questo tipo che ho incontrato appena pochi giorni fa mi ha trattato come Elena di Troia, il che va proprio bene, ma, voglio dire, sai quanto un comportamento simile duri e come andrà a finire."

"Forse l’hai semplicemente colpito."

"Sì, lo so. Ma vogliono sempre andare diritti al braccio attorno alle spalle. Girano attorno alla mano nella mano e alla telefonata proprio prima di andare a letto e, non so, ha dunque alcun senso costruire un piedestallo e quindi ergere una scala, capisci cosa intendo?"

"Si, lo so."

Frugò nella sua lunga giacca di pelle nera con un paio di distintivi con le facce gialle <smiley> dipinte, prese fuori le sigarette e attese che la giacca finisse di scricchiolare prima di chiederle se ne volesse una. Lei annuì e si mosse per prenderla gettandogli un paio di occhiate in viso. Lui tirò fuori lo Zippo d’argento, lo fece scattare per aprirlo, le accese la sigaretta, quindi la sua, chiuse l’accendino e lo collocò in bilico in cima al pacchetto di sigarette che aveva piazzato tra loro due sul tavolo.

Charlene venne verso il tavolo e servì un BLT, leggermente tostato con un tocco di mostarda inglese e una virgola di rafano e una tazza di caffè che Estrelica aveva ordinato prima che lui notasse che era entrata nel caffè.

"Hai cambiato tavolo?" gli chiese Charlene.

"Sì, è vero." Borbottò velocemente, controllando gli occhi di Estrelica per verificare di non aver tratto profitto dal grande schema delle cose. Gli occhi di lei incontrarono quelli di lui per un attimo nel momento in cui riprendeva a scrivere.

"Vuoi un altro drink?" Gli chiese Charlene mentre ritornava al suo vecchio tavolo per prendere lo zaino e portarlo a quello di Estrelica.

"Um, sì, una tazza di caffè, per favore."

"Okay. Qualcos’altro, piccola?" Charlene chiese a Estrelica.

"Ebbene, sì. Avete delle banane grandi così?" Chiese Estrelica tenendo le mani a una spanna di distanza l’una dall’altra, non attese la risposta di Charlene e riprese a scrivere.

"Mi spiace, piccola, niente banane oggi, ma forse trovo una mela o due nel retro," fece Charlene sullo stesso tono.

"Okay, una mela allora." Decise Estrelica.

"Solo una?" Inquisì Charlene guardando Vic.

"No grazie," rispose in tono soffocato.

Charlene si voltò verso il banco e stava per allontanarsi quando Estrelica sussurrò. "E un tovagliolo, per favore, Charlene." Charlene alzò la mano facendo giocherellare le dita scomparendo dietro al banco in cucina.

"Lo sai che hanno il rap a Beirut?" Chiese Vic.

"Musica rap?" Rispose Estrelica.

"Sì, ho un amico che lavora in un kibbutz ora, l’unico kibbutz sul Mar Mediterraneo, e mi diceva che hanno il rap a Beirut."

"M’immagino sia uno spettacolo movimentato mentre schivano i proiettili," sparò di ritorno cercando di non perdere la concentrazione nello scritto.

"Sì, ma non so… Qualcosa come-"

"-Hai con te un po’ di soldi?" Lo interruppe.

"Non molti temo, perché?"

"Perché credo di non aver preso i cinque dollari che avevo sulla scrivania uscendo questo mattina e la macchina ha un bisogno atroce di benzina."

"Forse ne ho abbastanza per un paio di miglia," la rassicurò.

"Qualche miglia? Voli davvero leggero."

Scriveva di malavoglia dando morsi al sandwich e iniziò a notare che lui portava la sigaretta alle labbra nello stesso momento in cui lei alzava il sandwich alla bocca. Charlene ritornò con un tazza di caffè per Vic e informò Estrelica che non c’era modo di trovare delle mele. Lei se la scrollò via e sorrise guardando Vic, immaginandosi come, avendo a che fare ora sia con la sigaretta che con la tazza di caffè, avrebbe alterato il suo piano di gioco nel mimare i suoi movimenti. Appoggiò la cicca nel posacenere e avvolse con una mano la tazza lasciando che le dita si posassero sull’orlo, giocando con la nuvola di vapore, come un aracnide che si esercita. Gli occhi di lei scrutarono le travi, i pochi altri clienti e la televisione sopra il banco in cerca di ispirazione.

"Cosa diresti tu a questo tipo?" Chiese.

"Vuoi perderlo o continuare a giocare?" Lui rispose.

"Voglio andare a fare benzina." Affermò.

"Allora digli di vendersi le brache, di smetterla di filare ragnatele e di comperarsi un trofeo."

"Fermati un attimo. Come dici, un trofeo?… Pronto a partire?" mormorò mettendo in borsa le sue cose, ingoiando l’ultimo boccone di sandwich, scolando fino all’ultimo il caffè e afferrando le chiavi della macchina. Lui fece un cenno col capo mentre buttava giù il resto del caffè e con una mano in tasca, cercò una mancia che non si poteva permettere ma che lasciò comunque.

Dirigendosi alla cassa, disse che gli avrebbe offerto il caffè se lui avesse pagato la benzina. Charlene fece squillare il conto e pescò il resto sussurrando sottovoce. "Sai cosa dicono…"

"Dei morti che sanno sempre che ore sono?" Estrelica continuò.

"Non dire che non ti avevo avvertita." Charlene borbottò, facendo cadere alcune monete nella mano di Estrelica.

"Va bene, dì che l’ho voluto." Fece Estrelica raggiante dirigendosi verso la porta.

La macchina di Estrelica, una Volkswagen Beetle del 1969 di un blu timido, aveva fatto del suo meglio per darsi un tono prima di accasciarsi completamente proprio davanti al 5 Point. Era passata tra molte mani come un maglione a girocollo, aveva capito quanto era stata usata e umilmente obbediva più che poteva ad Estrelica, nel timore della quantità di giorni che le restavano sulla strada. Estrelica aprì la sua portiera, entrò e aprì quella di Vic e si scusò per il fatto che non ci fosse il sedile del passeggero e spiegò a Vic che avrebbe dovuto accovacciarsi sulle assi del pavimento. Vic provò ad accucciarsi, ma decise di sedersi con le gambe incrociate inclinando con attenzione la schiena nella speranza di trovare un angolo agevole per rilassare i muscoli. Estrelica era già riuscita ad avviare la macchina che Vic non aveva ancora trovato la posizione comoda finale ma vi si era già adattato essendo stato inghiottito nel pensiero di come la nuova altezza gli ricordasse i viaggi in macchina con i genitori quand’era bambino, osservando il ritmo delle luci delle strade e dei semafori che fluivano visto che la linea della sua visuale gli permetteva poco più.

"Okay, per prima cosa dobbiamo fare un po’ di benzina…" Estrelica fece col pensiero altrove mentre scrutava l’orizzonte alla ricerca di un benzinaio. Ce n’era uno nelle vicinanze dall’altra parte della strada del 5 Point, ma con tutti i sensi unici, Estrelica dovette seguire quello che alla fine sembrava il disegno di una svastica solo per raggiungere il distributore.

"Vediamo ora cosa abbiamo," disse Estrelica portandosi vicino alla pompa e spegnendo il motore. "Quanto hai?" chiese spostandosi nel sedile e aprendo la portiera.

"Um, meno di quello che pensassi," rispose con riluttanza.

"Va bene, inizia a cercare sul pavimento, ci dovrebbero essere degli spiccioli da qualche parte."

"Tutto quello che riesco a trovare sono centesimi. Aspetta, un decimo. Ho trovato un decimo per noi." Declamò Vic. Ancora pochi minuti di ricerca e Vic era riuscito a contare fino a $1.03.

"Abbiano un dollaro e tre." Riportò Vic.

"E’ abbastanza?", chiese Estrelica.

"Dovrà esserlo."

"Okay." Estrelica raccolse la manciata di monete e si diresse dal benzinaio per dargliele, poi prese la pompa e iniziò a infilarla nella macchina e a pomparvi benzina, risaltò in macchina e se ne filarono via.

"Allora, dov’è casa?", chiese Estrelica mentre esplorava i dintorni e allungava un braccio all’indietro alla ricerca di una cassetta.

"Appena giù per la baia, vicino ai binari della ferrovia. Sai come arrivare al porto, nei pressi del negozio dove riparano le barche?" chiese Vic.

"Mi pare di ricordare." Replicò lei.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 5, Parte B

Questo è un treno