Capitolo 3

Scommesse su Blacker?
Qualche scommessa su Blacker?

 

Vic ne aveva avuto abbastanza della prigione e se ne andò dal tribunale camminando e non sapendo che fare di se stesso. S’era messo con un paio di tipi un po’ troppo furbi per il loro bene che avevano pochi soldi proprio come Vic, ma uno di loro aveva una carta di credito rubata, così i tre se l’erano spassata per una settimana e mezza, ristoranti sempre più alla moda tutte le sere, avevano prosciugato i negozi di liquori, e portato fuori le ragazze carine che incontravano per una notte in città. Vic mai aveva firmato nulla, ma sapeva ciò che stava facendo e lo faceva perché era affamato come l’inferno.

Il padre del ragazzo che aveva rubato la carta di credito lavorava in banca da trentacinque anni in qualità di investigatore di crediti fraudolenti per uno degli istituti più grandi in città. I soldi per la cauzione arrivarono appena il padre scoprì il fatto. Il giudice ebbe a ridire che tre ragazzi così ben educati sprecassero i propri talenti per un tipo di vita tanto insulsa. Essendo stati i soldi risarciti alle varie istituzioni e avendo il giudice appena finito una quaglia deliziosa per pranzo, furono liberati con una sospensione di pena di dodici mesi a testa.

Decisero di prendersi una bottiglia di Bushmills per festeggiare come lasciarono il tribunale, ma Vic ce la fece a disperdersi e si tuffò in un negozio di strumenti musicali per accarezzare una sei corde elettrico-acustica borgogna che costava quanto la cauzione. Avrebbe passato undici giorni in carcere; undici giorni lontano dalla chitarra, e la prime note che le mani incontrarono furono "Here I Am, O Lord Send Me". La fece suonare un paio di volte, buttò giù alcune scale e si mise in strada. Iniziò a fischiettare tra sé "Jesus Loves The Little Children", la stessa innocua arietta che una delle guardie avrebbe sempre fischiettato tutte le volte che distribuiva i piatti con la gelatina e il budino ai detenuti del carcere minorile. Vic non poteva far altro che aver compassione dei carcerieri, i veri internati a vita. Mai una partita a buca con uno dei carcerati, sempre a saltare l’ultima parte del video in cassetta come tutti gli altri quand’era tempo di spegnere le luci. Immaginatevi le loro feste dove non avevano neppure una storia di guerra da darsi, solo il supremamente nobile, supremamente insulso dovere di accudire dei ragazzini in uniforme. E la notte dopo la chiusura finale quando alcuni dei detenuti si chiamavano gridando da una parte all’altra del cortile, le guardie avrebbero dovuto vagabondare da una porta all’altra ogni mezz’ora per assicurarsi che nessuno venisse soffocato o si impiccasse al gorgheggio del ritornello "Buon Compleanno a Te" che echeggiava da ala ad ala.

Vic pensava al suo compagno di cella che era stato dentro una volta prima e aveva riconosciuto in una delle guardie una compagna di scuola. Si sarebbero parlati appena fosse stato loro possibile e lei gli avrebbe sempre fatto scivolare dei pezzi giganteschi di prosciutto e frutta; polpettone quando riusciva a trovarlo; matite per gli schizzi, qualsiasi cosa. Il compagno di cella del tipo fu preso da una gelosia insana e un giorno mentre i due stavano lavorando nel magazzino della prigione, il compagno di cella ritornato da una commissione, aprì a chiave la porta e trovò i due abbracciati. Alla prima guardia in vista urlò allo stupro, fatto che costò a lei il lavoro e al suo ragazzo un mese in isolamento. Uscito dalla segregazione, trovò il vecchio compagno di cella, sorrise e gli chiese come gli era andata. Tutti i ragazzi dell’ala avevano votato contro lo spione e si trovarono d’accordo che probabilmente sarebbe morto in un mese. Si impiccò in poco meno di tre settimane e Antony lo skinhead ripulì una dozzina di pacchetti di Old Holborn dalle vincite delle scommesse. Pochi mesi dopo il ragazzo venne rilasciato e lei lo stava aspettando. Comperarono una Chrysler Futura del 1956, si diressero al sud e si sbatterono al sole.

Mentre Vic errava per le strade malediceva tutti gli amanti che incontrava che non avevano alcun diritto di giocare i loro piccoli giochi insieme quando avrebbero potuto andare al fiume in qualsiasi momento avessero voluto, comperare un bottiglia di Bordeaux, volare via a Lussemburgo… non avrebbero mai dovuto sapere cosa significasse razionare il tabacco o farsi solo una doccia alla settimana. Sempre a farsi a pezzi perché la bolletta del telefono era in ritardo e i narcisi di questo compleanno non erano tanto belli come quelli dell’ultimo compleanno del Sig. Lincoln.

Vic sperava di non trovare mai coloro che voleva perché sapeva della tentazione di prenderli per garantiti. Ma questo mai aveva fermato i suoi occhi dallo scrutare rapidi il maggior numero di facce possibili solo per vedere se lei era ancora là fuori da qualche parte. L’immagine di lei si era forgiata con finezza lungo gli anni e più o meno sapeva esattamente chi era. La battaglia, comunque, risiedeva nella resa; nell’aver a che fare con le parole obbligatorie e le risate che portano al distacco e alla ritirata, il piegarsi e atteggiarsi fino a quando gli occhi ripiegano.

Vic diede ascolto allo stomaco e si mise alla ricerca del primo ristoro disponibile. Aveva bisogno di un Reuben.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 4

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