Capitolo 2

Il o all’incirca primo giorno di giugno

 

Estrelica sospirò e si riproiettò all’interno, all’ascolto di chi era impegnato a sbottare fuori la propria pazzia specifica. Non avrebbe mai affrontato il vicinato di petto; sarebbe entrata in modo assente per scorgere da dove le mitragliatrici sparavano prima di preoccuparsi di dispiegare ampie le penne, per avvistare dove sarebbero caduti i colpi. Sapeva a chi soffiare il fumo in faccia e chi non se lo meritava e permettere al sorriso di danzare nell’oblio fin quando veniva colto da chiunque fosse capace di apprezzare l’offerta. Nessuno aveva mai tirato sassi alla sua finestra tardi di notte quando stava alzata a leggere del suo nome, e quando infine arrivavano era sempre per bussare alla porta come se lei si stesse immolando in una qualche cerimonia solitaria alla quale tutti volevano partecipare. Non è che agognasse l’isolamento più di chiunque altro, ma soltanto una piccola manciata di altri aveva il piacere di stare sola con lei. Il modo in cui vedeva il mondo faceva perfettamente senso se riusciva a dirtelo senza che la presenza di un altro le infrangesse l’intimità innata. Ti sorprendeva o ti deludeva, a seconda di come ti eri addormentato la notte.

Mai le era veramente importato di essere maschio o femmina, eschimese o africana, quattordicenne o ottantaseienne, e permetteva al suo cuore un regno libero dove vagare ogni qualvolta avesse bisogno di trovare una casa e spesso notò che quando era invasa da una contentezza tanto delirante da non saperla contenere, le compariva il pensiero che si stava dirigendo di nuovo a casa.

Forse era fiorita un giorno a scuola da bambina quando le fu chiesto di spiegare cosa la rendeva contenta mentre gli sguardi inquirenti dell’insegnante e dei compagni si facevano risolini smorzati. Volse lo sguardo alla finestra vicino al banco, sul cortile vuoto e oltre sulla curva delle colline e seppe che la vita che aveva apparteneva solo a lei.

Quando per la prima volta si è resa conto che la paura e la solitudine sono le migliori amiche, sempre lì a spettegolare l’una all’altra, e che l’avrebbero scorticata in piedi, mangiata viva e poi gettato via le ossa, ha imparato come far loro abbassare lo sguardo fino a lasciare solo l’avventura e la quiete, e raffinando i congegni riuscì a scivolare dal silenzio al furore in un respiro.

Dei suoi stati d’animo, comunque, mai poteva fidarsi, e a volte i pensieri le avrebbero raccontato bugie. E allorché si sentiva scivolare nelle acque calde dell’autocommiserazione, avrebbe pensato a tutti coloro che erano in effetti annoiati, soli e depressi, e si raffigurava che se tutte quelle persone erano indaffarate ad essere vittime di loro stesse, non vi era alcuna ragione lo fosse pure lei.

E quando la notte l’avrebbe appuntata al letto col cuore che batte contro il petto e tutti i suoi fantasmi la calpestavano come una maledizione dimenticata da tempo, avrebbe pensato a fin dove s’era spinta. Dei luoghi visitati, delle mura che aveva dovuto trivellare per giungere là, e avrebbe pensato tra sé, "Estrelica, tu sei sempre stata qui per me quando nessun altro c’era."

Aveva quel tipo di occhi marroni che possono all’istante diventare amici di chiunque ha gli stessi occhi. Si era sempre chiesta se la gente con gli occhi blu potesse essere tanto intima e con la stessa facilità. No, pensava: dovevano aprirsi un varco fin su agli occhi marroni. Gli occhi marroni si chinano in attesa di darti ciò che vuoi. Gli occhi blu incrociano solo le mani e iniziano a parlare del tempo.

Non si aveva bisogno di ascoltare le sue parole per sapere cosa stesse dicendo, e a volte nel momento in cui se ne rendeva conto avrebbe detto qualcosa di malvagio solo per vedere se eri in ascolto.

La vera cosa che desiderava era saper dire il suo nome in modo tanto leggiadro quanto risuonava a lei, ma se incontrava qualcuno e doveva dire il proprio nome, si sentiva ridotta a definire se stessa dal come pronunciava le sillabe e la confusione era inevitabile. Si chiedeva pure se veniva meno al suo nome: Se si comportava come un’Estrelica o faceva cose che un’Estrelica farebbe. Il come sarebbe riuscita a fare mai la preoccupò in realtà quanto se avesse potuto fare. Non essendo cresciuta tra cavalli, filosofia o motociclette, si chiedeva se coloro che si raggruppavano attorno a questi svaghi come a un circuito chiuso di conoscenza fossero così gentili da allontanarsi dalla sua via quando si trovava ossessionata dai falchi, navi o violini.

Aveva un’intuizione intrinseca di quando era pronta per qualcosa, o se era alla sua portata, e piuttosto che pretendere solo, teneva il cuore sotto stretto controllo e quando suonavano i campanelli, era già fuori dal cancello. Nel momento in cui faceva l’autostop o si trovava attratta da qualcun altro, sarebbe andata avanti solo se si sentiva comoda. E lo stato di pace spesso poteva farla apparire a suo agio in qualsiasi situazione, quando, infatti, era solo la curiosità a vincerla.

Era stata allevata e di frequente aveva fatto cose con persone negli ultimi anni di vita; coloro che si preparavano a un riposo o a una morte di qualche tipo, e anni più tardi si ritrovò a pensare come tutto sarebbe sempre finito, una relazione, un viaggio o un venerdì sera. Ma poiché mai era stata capace di esprimere la giovinezza insieme a coloro che da molto avevano passato la propria, avrebbe nutrito l’entusiasmo e lo zelo di una bambina fino in età avanzata quando i coetanei si erano già da anni bruciati la giovinezza. Mai aveva letto libri di avventura da bambina perché pensava che le possibilità di una vita avventurosa sarebbero spettate a qualcuno tanto ingranato in un mondo ovviamente distinto e probabilmente non conciliabile con chiunque altro.

Sapeva esistevano solo due tipi basilari di persone. I carini e i belli. I carini sapevano di essere tali e lo usavano per ottenere qualunque cosa volevano, laddove i belli non avevano alcuna idea di essere belli e passavano i giorni a fare ciò che doveva essere fatto per gli altri. Ma avendo capito questo, sentiva che doveva risiedere da qualche parte tra i due, però dove, non ne aveva idea. Della bellezza degli altri ne avrebbe fatto ancor più tesoro perché ne erano spesso tanto dimentichi. Come i forti che sono attratti da coloro che non possono intimidire, era attratta dal vulnerabile che mai vi pensava come a una debolezza.

La sua vita era perpetuata dall’inerzia, costituendone sia la forza che la labilità. Quando camminava, nuotava, era in volo, riusciva a forare ciò che la preoccupava maggiormente e fare ciò che pensava mai avrebbe fatto. E se era ferma, la stagnazione doveva essere tirata via come della putredine secca a meno che lei non si lasciasse dipanare al punto da sparire via come il gemito di un’armonica a bocca per cinque miglia nella lontananza dell'oscurità.

Era grata ai giornali, televisioni e radio per il fatto di essere lì a distrarla dai propri demoni, ma la distraevano pure dai suoi angeli e dal proprio senso del tempo. Custodiva con cura la percezione dell’infinito e in un atto volitivo vi scivolava ogni qualvolta accenni alla guerra echeggiavano dalle strade. E non si ricordava di non essere stata partecipe, sopravviveva alle proprie morti nel momento in cui percepiva di voler cambiare da un livello della vita a un’altro.

Spesso trovava difficile prendere lo specchio sul serio perché malgrado l’età, s’immaginava di essere ancora bambina sempre nel desiderio di crescere per rivendicare come proprio il mondo. Aveva sempre saputo ciò che voleva, ma non aveva idea di come andare in giro a prenderselo. Sapeva che il mondo non era tanto semplice da chiedere in modo esplicito ciò che si voleva, apprese quindi ad agire come se fosse appartenuta a qualsiasi posto si trovasse. Pensava tutti lo facessero e presto si rese conto che il mondo era davvero pieno di nient’altro che bambini, alcuni che ancora attizzavano collera e altri che se ne erano distanziati.

Accettava e apprezzava la fragilità della gente e si rendeva disponibile a chiunque volesse incontrarla, ma non spingeva nessuno se non era pronto. Nascondino era un gioco che ricordava da anni addietro, ma ne vedeva molti attorno che ancora lo giocavano. Era tanto logorata dai tempi in cui aveva desiderato incontrare un amante protettivo solo per finire impegnata in un rito di accoppiamento che nulla aveva a che fare con il romanticismo e tutto invece con un diversivo a incastro giocato male.

Il numero di volte che ha visto una coppia mal assortita l’ha fatta infine ricapitolare al fatto che forse una volta raggiunta un’età in cui non si riesce più a sopportare la solitudine, ci si sistema con il miglior compagno possibile.

Ritornava nel ricordo pure ai molti re che aveva incontrato lungo gli anni e di come sono divenuti cari amici, e se in effetti valesse la pena rischiare delle amicizie tanto solide per quello che forse non si sarebbe neppure sviluppato in una relazione o addirittura al punto del non ritorno dove perfino l’amicizia avrebbe subito una svolta drammatica. Si chiedeva come qualcosa tanto piacevole come il giacere vicini e il condividere l’una i pensieri dell’altro potesse disfarsi in un campo di battaglia dei bisogni idiosincratici personali. La maggioranza degli amanti che aveva osservato erano sempre e solo alla ricerca di una madre o di un padre o ad atteggiarsi loro stessi a padre o madre. Dov’erano i pochi che non si aspettavano nulla, solo gioia?

Aveva insegnato a se stessa come ballare il valzer o come unirsi a un ceili; l’avere o il non avere un partner poco le importava. Fino a questo punto avrebbe seguito la propria anima, e con grazia le avrebbe permesso di guidarla per sempre.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 3

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