Capitolo 1

estati ed estati

 

Vic sanguinava. Era infine libero dalle catene dell’inferno e barcollava per le stradine secondarie piangendo. Distese le gambe nell’angolo della sala principale del 5 Point Cafe e si mise a leggere le previsioni internazionali del tempo, inclinò la testa leggermente all’indietro per accendersi una sigaretta che fece rotolare in bocca mentre pescava in cerca del passaporto. Stirò delle annotazioni rapide di indirizzi come fossero un’antica riproduzione e fece un anello di fumo della Foresta Nera con i denti.

Iniziò a pensare alla festa alla Casa di Dio quando scosse Purcell vicino alla scala e lo portò giù in cantina con il riscaldamento stretto nell’asbesto come il guanto d’acciaio di Lancillotto e raggiunse all’indietro la bottiglia di John Jameson. Uno schiocco per aprirla e attese con pazienza che chiunque avesse notato la sua mancanza trovasse la strada fin giù alla stufa e lo aiutasse a finirla. Tutti i ragazzini che da qualche parte lungo la linea erano rimasti svegli la notte avevano intagliato degli incavi nel tubo di scolo simile alle costole di un Doberman che ulula come fosse stato nutrito delle viscere di un orologio da taschino.

"Sii un uomo" era ciò che le sorelle avevano da dire, e si sarebbero vestiti davanti allo specchio del bagno dei padri tutti grondanti olio di motore STP e resina per memorizzarsi nell’oblio. Strano come una fossetta possa essere uno sfregio con un guizzo del polso.

Pensava alle notti in cui guidava al cimitero nella parte ovest della città a spargere prese di tabacco sulla tomba di Gordon. Avrebbe afferrato un bouquet da un’altra tomba, conficcatolo nello stivale sarebbe andato a sedersi nella vecchia torretta dell’artigliere vicino al faro. Avrebbe cantato tra sé le vecchie canzoni del ’78 che la nonna suonava al piano prima dei film muti.

La luce della stanza da letto in una delle abitazioni al di là delle linee telefoniche si sarebbe sempre accesa e spenta, allora avrebbe agitato il braccio come una gru conficcata nei giri concentrici di un quarto di centesimo fino a quando si sarebbe arrestato. Nessuno lo ha mai notato.

Aveva sigillato tontine con i migliori di loro: Miscellanei sovrani della guerra dalle più lontane vie immaginabili, tutti riconoscibili l’uno all’altro come se avessero combattuto fianco a fianco secoli addietro e fossero tornati a riprendersi ciò che era loro da sempre.

Pochi erano i bisogni, ma senza fondo le passioni, impazienti come il vento e attenti come un bimbo. Inevitabile fossero circondati da altri che pensavano alle cucine solo per cucinarvi il cibo, di sicuro non per sobbarcarsi della violenza della notte quando andava al di là di una bottiglia di malto amaro e un giro di carte a Tonk; solo un qualcosa che ha a che fare con i racconti del correre attorno dentro la Diga Diablo, scalano il Kilimangiaro cullando una bottiglia di Johnny Walker, e seduti in una barca in una mattina di primavera a Sitka svuotati loro stessi come un corpo cavo di una sei corde dolorante in attesa di essere alleviato dalle proprie canzoni. E quando ormai il tavolo da cucina aveva troppi soldati morti da far spazio a una rubrica telefonica, perfino allora i nomi e i numeri delle varie Matilde là fuori nel Nuovo Galles del Sud, a Innisfree, Jordan e Sacramento rendevano il mattino completo sapendo che Albosanti aveva sposato un ereditiere, Degermark era sulla via di Findhorn, Fiona si stava allegramente fabbricando una strada e Natalie si dirigeva ad Arkansas solo perché le gemme la chiamavano.

Erano tutti d’accordo che un giorno avrebbero comperato un gran posto comodo a Sri Lanka e avrebbero bevuto juleps alla menta sul porticato, e Joaquim avrebbe sempre promesso di portare il radiolone, quello che sarebbe svanito se il volume non fosse restato appena al di sotto del punto in cui fosse distorto. Avrebbero costruito il posto con finestre rotte e cacciato un toscano nella bocca di chiunque fosse entrato dalla porta.

La vita di Vic era iniziata in modo abbastanza innocente nel tentativo di inclinarsi all’indietro sul seggiolone in una scommessa con la sorella maggiore e s’era spaccato i due denti frontali.

Era cresciuto in una città che aveva dei Monti di Pietà con le chitarre elettriche ricavate dai sedili di legno delle tazze del gabinetto e restavano nella vetrina del negozio per anni, e andò a scuola in un posto dove un tipo che rincorreva l’insegnante di ginnastica attorno alla pista con la macchina fu in effetti punito.

Il suo cuore era stato pignorato per il liquore un Capodanno di troppo e si concedeva alle voci che cantavano ‘Trovati una compagna di nome Smith’ mentre faceva una frittata spagnola. Sapeva tutto dell’attesa, ma si tenta e lo si racconta a un sogno perso da tempo che inizia come un film e termina come un libro. Occhi e sospiri e cosce riluttanti, come intona la vecchia canzone marinaresca. Sarebbero finiti in Irlanda senza una lira e avrebbero passato i giorni leggendo al parco di Santo Stefano. Vogliono l’unica cosa che non si può dare loro, e se si riesce a dargliela, ritorneranno nell’arco di dieci anni. I mendicanti più disperati fanno i monarchi più pazienti. Si giocano un centesimo in anticipo e ti portano via le brache. L’unica cosa da dirsi è, ‘Senti, sono in partenza per Alessandria e l’anno prossimo vado a Singapore. Sarebbe meglio tu ci pensassi… credevo ti piacesse la pasta di ceci da spalmare.’

Lo si poteva intuire dal suo sguardo che quando si iniziava a parlare del passato, semplicemente lo vedeva come estati ed estati fa. Alcune estati le aveva avvolte attorno al ginocchio e sarebbero passati anni prima che le slegasse, e quando lo avrebbe fatto, la cerimonia della slegatura gli avrebbe trapassato il cuore come un fortunato colpo di fulmine che più tardi avrebbe benedetto e gettato ai fucili. Sarebbe riuscito a tenere un pugno di olive nel palmo della mano e le avrebbe osservate fino a che l’universo sarebbe scomparso e saresti pure tu restato lì ad osservarle, per renderti conto che non aveva intenzione di sacrificarsi a tenerle così stava a te alzarti per risciacquare i bicchieri.

E il mattino del Giorno del Giudizio, sai bene che si sveglierà in un letto a baldacchino dai quattro sostegni in legno di palissandro con le persiane giamaicane per trattenere gli incubi e una bottiglia di Bombay per rilassare la mente. Farà riavvolgere di scatto le persiane come un gatto della giungla e sputerà tabacco dai denti con "Ora o mai" sulle labbra. Si spingerà su con un balzo o due e farà un bagno nel siero di latte e si risciacquerà nel whisky, afferrerà l’artiglio del condor, spalancherà la finestra e urlerà che darà le chiavi alla Royal Enfield per il nome della cucitrice con il padre medico stregone.

Infine avrà tanto pelo sullo stomaco da andare da Dio verso il pomeriggio, che sarebbe comunque uscito per una passeggiata, si recheranno quindi alla banchina e pranzeranno. E dopo aver parlato di vulcani e del traffico e del tempo, Dio si sporgerà in avanti proprio vicino e dirà "Figlio, perché lo hai fatto?". E dopo aver finito il caffè che restava, Vic si volgerà a Dio e dirà, "L’ho fatto per lei. Sì, soprattutto per lei, e un po’ per me." E’ naturale che Dio chiederà di specificare, allora Vic inizierà a svolgere il racconto, e Dio è un succhiatore di buone storie.

E mentre racconta la sua storia, Dio inizierà a sonnecchiare sognando la storia di Vic. E si dice che se Dio si addormenta e ti sogna, non devi più pagare le tasse. Non devi avere nulla a che fare con il grande caminetto; le stanze bianche e tutti i parenti; lo stesso giorno che va e che viene alla fagiano-sotto-vetro. Niente di tutto ciò. Hai vinto.

E mai più ti dovrai svegliare.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 2

Il o all’incirca primo giorno di giugno.