Capitolo 14

… e chi ti conosce?

 

Le spalle di Vic crollarono nel momento in cui entrò nel 5 Point e andò a sedersi proprio in fondo al bar, sotto la televisione. Nessuno lo notò e lui si strinse su di uno sgabello e si strofinò gli occhi. Dopo alcuni minuti Charlene lo vide e gli chiese se voleva un drink. Non ne aveva voglia, ma ordinò un bicchiere di acqua, comunque.

Scrutò il posto, non vi trovò nessuno che conosceva, e diresse lo sguardo al séparé nel quale Estrelica si era seduta il giorno prima e vide un’altra donna che se ne stava sola mangiando un sandwich. Guardò verso il reparto in cui si era seduto il giorno prima nel momento in cui aveva notato Estrelica e vide un tipo giovane che guardava dalla parte della donna che mangiava il sandwich.

Charlene portò a Vic un bicchiere d’acqua mentre lui tirava fuori un pezzo di carta e iniziava a scribacchiare.

 

Nacqui alla morte dell’inverno

con la promessa della primavera ai piedi

l’estate sulle punte delle dita

e te che avevo voluto incontrare

svanimmo nei prati

festeggiammo con formaggio e birra

mi sarei voltato ad osservare l’orizzonte

e sussurrare che non riuscivo a sopportare la prigione

 

Ho passato il mio tempo sulle spiagge

ho passato il mio tempo con i ladri

i legami che li vidi troncare

mai li ho capiti né vi ho creduto

sono tornato a cercare gli occhi che ho lasciato

e ho trovato un viso di pietra

intagliato dai miei cammini per i quali tu hai pagato

una solitudine non condivisa, ma posseduta

 

i giorni che ho davanti sono come pupazzi

i giorni passati sono da tempo antichi

il mio cuore che di solito rallegravi

spero tu mai cercherai

 

perfino l’acqua più pura

lasciata ferma, si volge in veleno

una volta c’era solo ghiaccio per te

ora non posso che ardere

 

una volta forse fui il lampo

tanto lucente e sempre così vicino

incendiavo il terreno sotto di me

e poi scomparivo

 

Vic guardò dietro a sé il tipo che sedeva nel reparto nel quale era seduto il giorno prima che guardava la donna mentre mangiava un sandwich. Diede un’occhiata alla donna che mangiava il sandwich nel momento in cui alzava gli occhi per guardare il tipo, finì di masticare il boccone, ed enfatica atteggiò la parola "No" con le labbra. Una figura scura si sedette vicino a Vic.

"Vic! Che diavolo sta succedendo?"

Era Bexley Kent, un timido anonimo a pezzi che si era conficcato a lato di Vic fin dal tempo della loro comune infanzia. Si ricordavano l’uno dell’altro più di quello che volevano ammettere, e ben presto trovarono che le loro vie zigzagavano l’una attorno all’altra come se fosse solo una questione di tempo prima che l’unica cosa che avrebbe infine avuto la meglio su tutti e due sarebbe stata una bottiglia di Everclear.

Non c’era modo di saperla più lunga di Bexley, e i suoi occhi lo mostravano. Niente lo poteva salvare da come stirava le braccia e si chiedeva se ci fosse qualcosa che già non sapesse. Povero bastardo era troppo intrappolato in tutto per rendersi conto che qualcuno tremava, di certo non Vic, che aveva sempre visto come amico, o per lo meno parente, per una qualche ragione.

Lungo l’arco degli anni Bexley se n’era sempre fregato di Vic e poi lo avrebbe chiamato spaventato, poi se ne sarebbe fregato e ora sedeva vicino a Vic sogghignando come un pazzo divertendosi alla vista di un compagno martin pescatore che muore di sete.

"Non molto," fece Vic volenteroso, "non penso di averti mai visto qui prima."

"No, qualcuno al lavoro me lo ha raccomandato. Non è proprio il mio tipo di posto, credo," disse guardandosi attorno, "ma questa ragazza al lavoro ha detto che qui fanno un’insalata di patate squisita."

"Di questo puoi esserne certo." Rispose Vic prendendo una sigaretta dalla tasca della giacca.

"Fumi ancora, eh, Vic?"

"Sì," disse accendendola, "è una compagnia."

Bexley stava per dire qualcosa ma notò la fasciatura sulla mano di Vic.

"Cristo, che ti è successo?"

"Ahh, ho dovuto strisciare tra i rovi questa mattina."

"Hai DOVUTO?"

"Be’, erano in mezzo alla strada."

"Allora, cosa stai facendo in questi giorni? Mi pare, sì, l’ultima volta che ti ho visto stavi per partire per l’Alaska."

"E’ vero, un paio di anni fa. Sono andato in Alaska. Poi sono ritornato dall’Alaska."

Bexley se ne stette a udire il silenzio che velava l’incapsulamento del periodo artico di Vic e si ricordò di come mai fosse riuscito a capire bene il modo in cui Vic sprecava la vita, di proposito evitava i soldi, il riconoscimento e il rispetto.

Bexley aveva sempre cianciato in tutto. Scuole superiori. Montagne. Onde. Tutto quello che aveva da fare era provare e allora lo considerava suo. Al momento dirigeva una serie di ristoranti messicani e aveva una Jaguar con niente dentro se non una palla da football sul sedile posteriore.

Se gli occhi di Vic erano dei vulcani, quelli di Bexley erano crateri. Crateri della disperazione più pura che poteva perfettamente allontanare con una risata. Le sue risate erano però numerate. Numerate come i minuti che sarebbero passati prima di chiedere a Vic una sigaretta.

"Mai ti capirò, Vic. Voglio dire, ho sempre saputo che ce l’avresti fatta, ancora allora a scuola. Potrei forse non averti, ah, parlato; però, se ti ricordi, nessuno davvero ti parlava, ma ho sempre saputo che ce l’avresti fatta. E non posso veramente capire perché tu voglia vivere in questo modo, sai? E mi sono sempre chiesto come tu sia riuscito a non farti coinvolgere, e hai sempre solo fatto quello che volevi, ma…"

Vic fece rotolare la sigaretta nel posacenere da un lato all’altro e spostò leggermente la testa da una parte.

"Bene, ognuno ha i propri tempi per guarire."

Bexley ascoltò le parole di Vic ma lo stava scrutando a fondo e notò che proprio allo stesso modo in cui erano a scuola, Vic non se la sentiva di spiegarsi a qualcuno che non aveva passato quello che aveva passato lui.

"Be’, sì, ma perché lo fai?"

Vic diede un altro tiro alla sigaretta.

"Lo faccio per me. Be’, principalmente per me, e un po’ per lei."

"Lei? Chi è lei?"

"Aaah, solo qualcuno."

"Sì, questo è tipico tuo, Vic. Hai sempre permesso alle donne di conquistarti. Cioè, non voglio dire che è giusto o sbagliato, ma, come tutti quegli anni che avevi fame di mia sorella quando usciva con il mio migliore amico. Penso che voi due vi conoscevate molto tempo prima di quanto vi conoscessi io, ma…"

"Solo un po’." Offrì Vic.

"Penso di non aver mai visto qualcuno perdere tanto la testa per una ragazza. Passarono anni prima che voi due faceste qualcosa, non è vero? O non avete MAI fatto qualcosa?"

"Non ne abbiamo avuto bisogno. Mi veniva dato maggior accesso perché non ero il suo amante. Avevamo molto più bisogno l’uno dell’altra di quanto in realtà ci desiderassimo."

Bexley lasciò che le parole di Vic sprofondassero prima di continuare.

"Non so. Forse c’E’ qualcosa di cui hai bisogno, Vic."

"Kent, hai mai solo passato ore e ore e ore e ore senza mai diventare freddo? Con le mani di lei nei tuoi capelli e tu a solleticarla dove lei ti dice che la fa sentire meglio?"

Bexley se ne stette a fissarlo allora Vic continuò a parlare.

"Ti ricordi di Casey Gates a scuola?"

"Casey Gates? No, non posso dire di ricordarmelo."

"Casey Gates era sempre intimorito da suo padre. Sai, l’intero cambio di guardia infinitamente violento attraverso il quale tutti i padri e i figli devono passare, fino a quando un giorno è semplicemente scappato di casa. Ha iniziato una bella vita, feste tutti i giorni. Ha fatto un sacco di soldi. Ha risposto da sé a tutte le sue domande, mai ha avuto bisogno di nessuno. Ha stracciato il mondo sulla misura dei propri termini. Infine ha ottenuto tutto quello a cui ambiva, e che fa ora? Se ne sta seduto a casa dopo il lavoro a spingere i pulsanti della televisione con una bottiglia di Jim Beam in una mano e una vecchia Luger nell’altra. Decise quindi un giorno di andare a casa, non aveva visto il padre da anni, e ha trovato il padre che spingeva i pulsanti del televisore con una mano su di una bottiglia di Mad Dog e una su di una rivista scandalistica. Da allora sono diventati amici per la pelle. Non fanno nient’altro che starsene seduti a guardare la gente che viene ammazzata alla televisione e a parlare di armi. Voglio dire, è ormai troppo tardi per loro interessarsi al mondo fuori, ma per lo meno si sono ritrovati, e valuto ci sia un certo tipo di vittoria in questo."

Bexley osservò Vic mentre spegneva la sigaretta e decise di cambiare soggetto.

"Sei andato alle corse ieri?"

"Sì, c’ero."

"Hai visto Eden Sweep correre?"

"Sì, ho pensato che il buon vecchio Eden Sweep avrebbe vinto. Ma non ho puntato su di lui, però."

"Su chi hai puntato?"

"Maiden Bidder. Ho puntato dieci dollari nella prima corsa su Blatant e Brown e ne ho fatti cento. Ho messo i cento su Curse The Rose nella seconda e ne ho fatti mille. Ho messo l’intera somma su Whisper of Scarlat nella terza e ne ho fatti dieci mila. Poi nella quarta ho puntato tutto su Maiden Bidder per vincere."

"E?"

"Si è piazzata."

"Oh, Dio!"

"Aah, niente di male. Ho solo perso dieci dollari."

"Be’, per lo meno il tempo era decente."

"Sì, a dir la verità, era proprio decente."

Bexley si scusò per andare in bagno nel momento in cui Charlene gli si avvicinava per chiedergli se voleva ordinare qualcosa. Borbottò Budweiser e un’insalata di patate e se ne andò. Vic si girò per misurare il progresso dei due nei propri séparé. Lui la stava ancora a fissare, lei continuava a ignorarlo.

Vic avvertì che Bexley era ritornato dal bagno e si girò per chiedergli della sua nuova macchina per scoprire che invece era Estrelica. Un impeto di corrente lo fece sobbalzare mentre lei iniziava a parlare.

"Vic."

"Salve."

"Vic, sono stanca. Sono molto stanca. Sono stanca di me stessa. Ho raggiunto il punto di saturazione dove so troppo di me, e non so uscire dalla mia strada." Lo guardò negli occhi come se giurasse a se stessa che non lo avrebbe fatto. "E, so che non ho bisogno di dirti niente quando ti parlo, che tu tanto ascolti, quindi ascoltami. Mi ricordi di qualcuno che conosco, qualcuno che so che non sarà in giro per un po’. Tu non sei proprio lui, ma poi, lui non ha niente che ti assomiglia. E, uh, a proposito, mi devi dei soldi per tutto il cibo."

"Ma, non era mio il caffè?" chiese Vic.

"Ma io ho comperato ancora della birra per noi due ieri sera."

"Ma quello era solo un sorriso a tutte le facce giuste."

"No, quello era solo un sorriso." Estrelica sorrise.

Bexley era ritornato e si era seduto vicino a Estrelica, pensando se fosse questa la "lei" di cui Vic stava parlando.

"Voglio vedere l’Europa." Disse Estrelica con dolcezza.

"Voglio che tu la veda." Affermò Vic.

"I tuoi piedi puzzano sempre?" lei chiese.

"Non se non ci sono."

"All’inferno. Il paradiso non lo si riceve a buon prezzo. Voglio dire, le ricchezze dei poveri non mi hanno mai inchiodato i piedi al pavimento, e se solo potessi posare i piedi sul suolo antico di nuovo, penso che prenderei l’ultimo pezzo di terra che c’è e marciando lo porterei in città in una carriola, e indovina cosa? Ho di nuovo le ruote.!"

"Bexley, questa è Estrelica."

"Salve," lui disse porgendo la mano.

"Salve," Estrelica fece di ritorno mettendogli la mano sul braccio, poi si rigirò per guardare Vic in faccia. Si mise la mano in tasca e andò al jukebox. Bexley sbirciò negli occhi di Vic mentre la guardava andarsene. Vic mormorò "Mostrami il tipo che ha il fegato di guardare una donna negli occhi, e io ti mostrerò chi è l’uomo forte del circo."

Bexley le guardò il sedere e si strinse nelle spalle. "Non è poi tanto speciale."

"Se lo credi sul serio allora non sai niente di niente e non ti posso aiutare. Vedi, c’è un piano qui che continuo a vedere e proprio non mi piace. Qualcosa che ha che fare con il cemento armato e i dadi. Mi rende lungo e scuro e tremante, e tutto quello di cui mi parlano è del calore del ghiaccio e di quello che si vede davanti, forse un giorno avrai la fortuna di incontrarla, e non sarà solo un’altra pagina con un sacco di indirizzi, sarà solo dentro a ricordarti del calore."

Estrelica si sedette di nuovo sullo sgabello.

"Bexley, huh? Vic non mi ha parlato di te."

"Sì, ci conosciamo da anni. Siamo andati a scuola insieme."

"Dimmi, come era allora?" Estrelica chiese.

"Era ben simile."

"Be’, nessuno veramente cambia, non è vero? Si fanno solo più acuti." Estrelica rispose.

Charlene portò a Bexley la Bud e l’insalata di patate e lui iniziò a tuffarvisi.

Estrelica si rivolse a Vic.

"Allora, quando chiude il giudice conciliatore?" lei chiese.

"Probabilmente lavora ancora per qualche buona ora." Vic rispose.

"Alcune buone ore per bere, se tu mi chiedessi."

"Mai lo chiederei a te."

"Neppure per una sigaretta?"

"Mi è appena venuta in mente, hai ancora quelle Black Russians, non è vero?" chiese Vic.

"Um-hmm." Lei disse buttando fuori l’ultima dal pacchetto nella sua direzione e accendendola per lui.

"Sei riuscita a fare tutto quello che avevi intenzione di fare?" chiese Vic.

"E’ naturale che no, ma non è neppure mezzogiorno."

"Oh, è mezzogiorno passato da un po’"

"No!" Fece guardandosi attorno in cerca di un orologio. "Va bene, senti, devo correre, un mio amico sta aspettando e sono in ritardo, ma incontriamoci alla Gibson House in un’ora e mezza."

"Gibson House in un’ora e mezza."

Gli mise la mano sulla gamba e sorrise un saluto e Vic la guardò uscire. Vic se ne andò in bagno mentre Bexley finiva l’insalata di patate e iniziava a innaffiarla con la birra. Vic ritornò allo sgabello e notò che sia la ragazza che il ragazzo dei séparé diversi se ne erano andati.

"Lo sai, Bex, la pazienza non sta avendo la meglio su di me. Infatti, nessuno ha la meglio su di me. Ho il collo che sembra un blocco e… ho bisogno di un bagno. Ti è piaciuta l’insalata di patate?"

"Era proprio buona. Aveva bisogno di un qualcosina in più, ma mi è piaciuta."

"Bene, io me ne vado. Ti vedo di nuovo?"

"Se non altrove, al Frontier Room."

"Adios."

Vic raccolse le sue cose, lasciò un paio di monete per Charlene e uscì dal 5 Point socchiudendo gli occhi, pensando a quello che doveva fare. Bexley fece girare nel bicchiere il resto della sua birra e pensò ad Estrelica con Vic, alzò le sopracciglia e si buttò giù in gola il resto schiumoso.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 15

Per sempre tu sia in pace