Capitolo 12

Ho bisogno di qualcosa
da dire a qualcuno così

 

Vic chiamò la compagnia di taxi di Jason e riuscì a farsi dare un passaggio da Jason fino alla casa in cui Vic viveva vicino a Sand Point. La conversazione veniva quasi per intero da uno dei due poiché le due tazze Grande di caffè Starbucks che scivolavano per lo stomaco di Jason lo avevano reso tanto teso da pensare di portare in qualche luogo delle cassette demo del suo gruppo, passare dalla lavanderia a ritirare le sue cose, andare a prendere un barilotto di Harp che aveva ordinato dall’altra parte del lago, portare Frank a fare l’esame del CO, come rispondere ad alcune chiamate che aveva posposto più tardi nel pomeriggio. Pensava a quanto sarebbe in effetti stata frenetica la sua giornata e schiacciò l’acceleratore, portò Vic a casa e scomparve giù per la strada.

Era da pochi mesi che Vic viveva nella casa che chiamava dimora, ma già da un paio d’anni conosceva due dei suoi quattro inquilini. Erano tutti motociclisti che avevano sei moto e mezzo tra tutti. A testa ognuno ne aveva una in regola con il codice stradale e un relitto ognuno da cannibalizzare per i pezzi. Vic aveva di recente venduto la sua amata Beener per comperare una Zundapp che aveva bisogno di una nuova forcella, una nuova guarnizione, i fanali anteriori e un sacco di cura.

I suoi coinquilini lo chiamavano Applecross perché non si stancava mai di ripetere quanto voleva portare la moto su per le colline di Applecross in Scozia. Insistevano pure con tedio sulla sua infame Royal Enfield che doveva aver comperato per $300 e che mai nessuno aveva visto, ma di cui avevano sentito tutti gli ultimi sviluppi sul quando l’avrebbe portata a casa.

Vic entrò in casa per trovare Keith in una poltrona mentre sfogliava una copia della rivista Easy Rider.

"Vic."

"Salve a te."

"Ci sei mancato."

"Ah sì, qualcuno ha trovato il mio messaggio?"

"Che messaggio? Sapevamo che forse eri andato giù a San Francisco per il weekend, ma non sapevamo che sarebbe stata una vacanza a tutto raggio."

"Sì, sì, è stata una vacanza, tutto sommato." Disse Vic, andando in cucina a prendere una Red Hook dal frigo.

"Di’ come ti è andata."

"Niente di troppo eccitante. Ma non avrei dovuto fermarmi tanto a lungo. Devo andarmene da qui."

"E dove ora?"

"Di nuovo in Gran Bretagna."

"Gran Bretagna? Dici sul serio? Gran Bretagna?"

"Sì," sospirò Vic. "Non appartengo a questo posto. I piedi mi prudono, le ultime tre ragazze che ho avuto erano delle infedeli, ho bisogno di sedermi in un pub e di sentire che mi mancano le gambe e… sono annoiato."

"Gran Bretagna?"

"Gran Bretagna."

"Sì, tu puoi andarci, non è vero?"

Vic sorrise.

"Bastardo. Così Applecross infine va ad Applecross, eh?"

Vic sorrise ancor più.

"Posso avere la tua stanza?"

"Sì, sicuro. Voglio anche che tu… Keith, posso di fidarmi di te e lasciarti le mie cose per un po’?"

"Per quanto tempo?"

"Sei mesi, forse un anno. Forse ancora più a lungo?"

"Un biglietto di sola andata?"

"Forse. Voglio solo sparire. Cerca una vecchia Triton e sistemala; vedi di aiutarmi a trovare un lavoro in un garage o qualcosa di simile."

"Tu sei fortunato, fortunato…"

"Be’, sì, penso di sì. Mi sembra di girare le ruote a vuoto qui. Deve pur succedere qualcosa."

"So cosa intendi. Non so neppure io cosa farò. Vorrei essere nato in Inghilterra."

"La possibilità l’hai avuta."

"Sì, penso tu abbia ragione." Ridacchiò Keith.

"Allora, va bene; le cassette, i dischi, i libri e tutta quella roba, tienimeli, non venderli, e se lavori alla Zundapp più di quello che ho fatto io, diventa tua."

"Veramente?"

"Davvero."

"Grazie. Quanto porti con te?"

"Non so. Devo andare a parlare in banca e vedere della gente. Finanza creativa è il codice della settimana."

"Sì, ti sto ascoltando."

Un rombo di motociclette si fece sempre più vicino e gli altri coinquilini di Vic tuonarono in casa sparandogli domande mentre lui si negava a tutti, pensando alla Gran Bretagna, facendo piazza pulita del passato e tollerando il presente. C’erano infinite commissioni da fare prima di riuscire a mettere piede sull’aereo.

Blondo, Silky, Rex e Jeff, tutti tirarono le giacche di pelle, sciarpe, guanti e chiavi sul tavolino, presero delle birre dal frigo in cucina e cercarono di capire dove fosse stato Vic e quali fossero i suoi piani.

Nessuno dei suoi coinquilini aveva relazioni serie con ragazze o era uscito con una ragazza da varie lune, a parte gli incontri occasionali alle feste. Si trovavano tutti a vari livelli di misoginia scaturita dal fatto di aver tentato di spingere qualsiasi donna trovata per caso in quella che era una fantasia divinizzata personale che imperturbati erano sicuri sarebbero riusciti a incontrare, con Rex e Jeff che gradualmente adottavano il manierismo e le sfumature femminili che speravano di riscontrare nelle donne che al momento tentavano di corteggiare. Dal lasciarsi crescere i capelli in folte capigliature che cadevano delicate sulla fronte, al farsi bucare le orecchie e annodare sciarpe al collo, il loro atteggiamento verso i gay si faceva tanto ostile quanto quello verso le donne. I vecchi bravi ragazzi saranno ragazzi e saranno ragazze ma non possono presentarsi da soli il sabato sera.

"Ehi, Vic, abbiamo sentito di Estrelica. Ci hai passato la notte, eh?" Fu Rex a spingerlo a parlare.

"Ero lì." Rispose Vic.

"E?"

"Le ho chiesto di sposarmi."

La stanza esplose in una risata.

"Questa è buona. Questa è proprio buona." Rise Rex.

"Ho un pezzo di carta che potrebbe fondamentalmente servirle." Spiegò Vic.

"Quanto ti paga?"

"Non ha nulla."

"Lo sai, devi startene lontano da San Francisco, ricordatelo. Quel posto ti mette delle strane idee in testa. Hai perfino incontrato la tipa? Cristo, se avessi una bicicletta per ogni ragazza che ho mai desiderato seguire…" Rex pensò a voce alta.

"Non la voglio seguire. Voglio solo vedere dove va."

"Cristo."

"Cosa? Sai chi è?"

"L’ho vista in giro." Mormorò Rex.

"Sì, ma la conosci?" Vic gli chiese, guardandolo negli occhi.

"Dai, suvvia, l’ho vista al Comet. Tutti l’abbiamo vista al Comet."

"Ma mai a tu per tu, eh?" chiese Vic.

"Ci ho provato una volta."

"E?"

"Non so. Troppo fuori di testa, penso. Parlava sempre di quello che le era successo quando era piccola. E ci voleva troppo tempo per farle aprire le gambe." Disse Rex turbato.

"Non conosci ancora il trucco che fa cadere gli acrobati." Fece Vic dolcemente.

"Sì, ma vale poi davvero raccogliere i pezzi? Senti, dimmi di Berkeley. Hai visto Josie?" chiese Rex.

"Ho visto Josie. Mi ha detto che gli devi delle cose e una locomotiva."

"Merda. Sta ancora piangendo per quella? Si dimentica sempre che a me deve un trenino."

"Ha detto proprio questo."

Vic si avvicinò a Keith e si lasciò sprofondare vicino a lui e alla sua rivista.

"Puoi darmi un passaggio in città?"

"Di quanto tempo hai bisogno?"

"Al massimo due ore."

Keith prese la giacca e le chiavi mentre Vic udiva gli altri coinquilini parlare della differenza tra le emittenti televisive degli anni ’50 e quelle nuove.

"Pronti? Siamo pronti."

Si avviarono per saltare sulla moto di Keith. La chiamava la Black Nightie, mentre Rex usciva dopo tutti gli altri urlando prima che partissero.

"Ehi, Vic!" sorrise Rex. "Ha ancora il sapore della colla sulle buste?"

"E chi lo vuole sapere?"

"Me lo ha chiesto Chinn."

"Vai via" sputò Vic sparendo con Keith.

Vic urlò dove aveva bisogno di andare mentre rombavano per la città: al furgone di Farouk, al quale stava lavorando e nel quale dormiva, per prendere il suo sacco a pelo; al posto di Purcell per sistemare tutto; e da Mary per vedere se aveva un ottavo d’erba. Per strada, Keith gli chiese se conosceva il nuovo album di John Lee Hooker.

"No, non ne ho avuto modo. Ho solo ascoltato quello che la gente ascolta."

"Ahh, il blues è per la musica quello che Dio è per la Creazione. Risparmia alcune corone e comperatelo. Fidati di me."

Il cognome di Keith era Todd, e una volta era giunto alla conclusione che aveva passato sei mesi della sua vita a scrivere il cognome, con duemila ore solo su quella seconda "d" silenziosa.

Lui e Vic avevano l’abitudine di andare in moto giù alla costa e poco prima che Tristan si sposasse volavano fino al Jackson’s Hole per un paio di settimane.

Amavano tutti e due ricevere posta e si erano fatti stampare una notte a una festa su di un computer 1500 etichette postali. Le cose semplicemente succedevano con Keith e Vic. Una volta al Coopers pub, era già da mesi che volevano andarci, poi quando davvero vi arrivarono, Applebaum stava dando una festa per raccogliere fondi. Keith disse che il suo nome era Travis Bickle e Vic affermò di chiamarsi Gordon Senior, poi dichiararono che stavano lavorando per la sua campagna a Humptulips e ricevettero birre e cibo per tutta la notte. Keith aveva pure una montagna di libri di Andy Capp nel suo bagno.

Vic indicò a Keith il punto in cui era stato investito da Sally; il carro merci nel quale era con Linda il giorno del compleanno di Steve; dove aveva vissuto ad ambedue i lati di Garden Street; lo Stop and Rob dove gli avevano chiesto i documenti. Passarono davanti a un vecchio indirizzo di Vic nel momento in cui lui si spinse in avanti per urlare: "Sì, stavo per essere un marito."

"Be’, tutti abbiamo bisogno del nostro tempo per guarire," gli urlò di ritorno Keith mentre si lanciavano giù per la Counterbalance e acceleravano all’incrocio ai piedi del Queen Ann Hill. Si diressero alla Buckaroo Tavern a Fremont e si fecero un paio di Rainiers, diedero un paio di manate alla barra del bar in onore a Little Walter che si smorzava lamentoso, guardarono tutte le facce che si muovevano a tempo di musica mentre parlavano delle possibilità dei Saints.

"Mi si è avverato un sogno ieri," disse Keith.

"Quale?"

"Sono stato capace di fare tutta la 99esima da Larry’s su all’Oak Tree fino a Kingdome senza mai incontrare il rosso."

"Stavi sognando."

"E’ successo!" Keith ammiccò mentre Vic guardava fuori dalla finestra e vide una gonna rossa svolazzare via . Il tipo di gonna che aveva bisogno di essere stirata.

 

Estrelica e Vic, Capitolo 13

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