Capitolo 10

Vetri e fiamme

 

Vic se ne andò a piedi dalla casa nella quale Estrelica viveva e le fiamme lo seguirono, facendosi beffa di ogni suo passo e sabotando ogni suo pensiero. Era la perdita più incresciosa mai avesse avuto perché mai era riuscito a guadagnare quello che aveva appena perso. Aveva semplicemente inseguito l’impossibile fin nei luoghi più lontani luoghi e il regno del possibile non aveva più alcun contatto con quello che giaceva oltre. Lottò invano per distrarre l’attenzione sul mondo che gli stava davanti e cercò di congiurare un po’ di entusiasmo nei pochi sogni che ancora aveva nella tasca dietro. Forse ora avrebbe potuto guidare camion attraverso l’Africa; forse ora avrebbe imparato l’ebraico; forse ora avrebbe infine abbandonato la speranza di cercare di congiungere l’anima sua con quella di un’altra e lasciare che la morsa invadente del cinismo e della realtà sommergesse quella luce che lui aveva permesso brillasse in modo tanto magnifico e che egli conservava negli occhi, e perfino coloro che sapevano riconoscerla e inglobarne la visione nell’infinito, sottraevano lo sguardo e si voltavano increduli al pensiero che un’anima tanto naïve potesse ancora in effetti esistere.

Alzò gli occhi al cielo e si chiese perché i più forti che aveva incontrato, coloro che sapevano camminare con maggior vigore e trovare passaggi attraverso qualsiasi ostacolo si trovasse sulle loro vie, divenivano pure loro preda dei sentimenti più opprimenti scaturiti dal dubbio e dalla delusione. Combatteva con un’intuizione che lo infastidiva da anni. Che forse coloro che non avevano sogni tanto grandiosi, gusti più semplici e vite tanto pedestri quanto gli ingredienti su di una scatola di cereali, avevano infatti realizzato che il rischiare troppo per la liberazione era destinato a lasciare te e il liberatore soli e stremati, dopo ore, al punto che il liberatore è tanto stanco che se ti scopre ad ingannarlo sospira e resta a fissare la velocità del tuo sguardo.

Pensava alle volte quando con Kirk Erickson usciva per un paio di birre, e l’inevitabile conversazione curvata a spirale in basso in una serie di pause imbarazzanti fino a quando Vic infine borbottava esasperato, "Se siamo tanto intelligenti, perché siamo qui?" Kirk faceva un cenno con il capo, brindava con il bicchiere e affermava, "Sì, non è esattamente tutta ambrosia e saette."

Il peso, l’attesa insostenibile che afferrava le mascelle serrandole con ogni giorno nel quale Vic sempre si contorceva attorno dentro finché lo solleticava, iniziava a ulcerargli la mente lasciando un veleno che gli si insinuava giù per la gola e strangolava ogni tentativo di comunicazione con chiunque fosse anche solo di remoto destinato o incatenato alla terra. Era riuscito a tenere la testa il più lontano possibile dal cuore, ma ora li trovava tanto estraniati che aveva forse già perso la possibilità di riunirli.

Il sole iniziò a brillare attraverso un tappeto di nuvole che si muovevano lente nel cielo e Vic si sporse a lacerare quelle sopra il sole per farlo scattare fuori. Come un uomo in vista della terra dopo tanto tempo in mare, Vic percepiva il rimbombo che rodeva nel doversi relazionare alla terra e doveva vincere il desiderio di girare la nave solo per vivere nell’ambire estenuante che gli stava al di sopra alto e maestoso; proprio dall’altra parte dell’infinito, dove s’installa la fissità.

Pensò a Rob Janning, che organizzava feste del Giorno-della-Morte nella ricorrenza della sua nascita, complete di una pira funeraria nel giardino con due poli di 4x4 pollici brucianti infilzati nel terreno e una gigantesca televisione vecchia piazzata in mezzo sulla quale sarebbe salito al tramonto del sole. Con una mazza verso il cielo avrebbe urlato "Date a Cesare quello che è di Cesare" poi con uno schianto potente avrebbe fracassato il tubo e la televisione mandandoli nell’oblio. Rob Janning; che dormiva vicino ai binari ferroviari proprio come Vic e a volte camminava nel sonno.

Un dolore monotono colpì intermittente Vic alle costole nel momento in cui si riavvolse e ululò il nome di Estrelica ai cieli e lo ascoltò echeggiare nel domani.

"Mai dicono il perché. Neppure mai ci provano."

La violenza che Vic era sempre stato capace di trattenere nel palmo della mano e di osservare dall’alto d’improvviso gli si accumulò nel pugno mentre radeva lento verso il condominio lungo il quale stava camminando, prendeva di mira una finestra sul davanti e faceva passare le dita attraverso il vetro. Tirò fuori la mano, la strofinò nei pantaloni e continuò a camminare, dimentico di quello che aveva appena fatto.

Pensava a come da piccolo faceva tesoro del fatto di essere lasciato solo e di quanto era stato in grado di fare senza la presenza degli altri che invadevano il suo mondo e di come questa sensazione sia deteriorata in solitudine nel momento in cui aveva cercato altri come lui e aveva intrecciato relazioni con loro a tal punto che le coincidenze fluttuavano quasi magicamente e nel momento in cui erano distanti, il cuore del quale si era tanto invaghito permetteva al suo di languire.

Si avviò all’appartamento in cui viveva Gingersnap, una spogliarellista al Razzmatazz, la bettola locale con lo spogliarello. Bussò alla porta per scoprire che lei era in casa. "Ma guarda chi c’è..." fece lei raggiante.

"Ehi, come va?" rispose Vic.

"Porta il culo dentro, tesoro. Che fai da un po’ a ‘sta parte?"

"Oh, questo e quello."

"Ho appena iniziato a mangiare prosciutto e salciccia. Ne vuoi?"

"No, va bene, ho già mangiato."

"Allora, cosa fai Vic?"

"Oh, le solite cose. Nessun piano preciso."

"Non ci credo. Non Vic, il Dio della Strada, che va dove gli pare alla ricerca della vita stessa. Che diavolo è successo a Come-si-chiama?"

"Chi?"

"Si che lo sai. Comesichiama, con la boutique e i capelli."

"Oh, quella. Chi si ricorda."

"Sembra tu ce l’abbia ancora in testa."

"No, è un’altra."

"E chi questa volta?"

"Qualcuno che neppure conoscevo a quest’ora ieri che mi ha appena fatto spaccare una finestra con la mano." Disse alzando il pugno.

"Forca di Dio! Aspetta che trovo qualcosa per fasciartela." Disse andando in bagno.

"Allora, era qualcuno di speciale, eh?" urlò dal corridoio.

"Su cosa ti basi per dirlo?" chiese Vic, guardando il risultato della sua ultima bravata.

"Mi viene in mente, sì, di un’altra volta che sei venuto a trovarmi dopo qualcosa di simile e hai urlato e pianto per ore. Te lo ricordi?"

"Proprio per niente."

Ginger ritornò dal bagno con una benda e lo iodio e medicò la mano di Vic.

"Ma quando mai imparerai?"

"Quando tutti i miei insegnanti saranno nella tomba, penso."

"Allora parlamene, se vuoi."

"Ah, non c’è nulla da dire in effetti. Tu sai cosa sto cercando, e sai pure come reagisco quando si svegliano per riscontrare che forse era stato tutto un sogno."

"Era bella?"

Vic non rispose.

"Era TUTTO?"

Vic non rispose.

"Oh, dai smettila. Questo non è più lo stesso tipo che MI ha detto che morire per amore è sì bello ma stupido."

"Ah, lo sai com’è a volte."

"Sì, lo so."

"Prosciutto e salciccia, eh?"

"Ancora caldi."

"No, va bene cosi."

"Allora, quando infine la smetterai di occuparti di roba tanto estrema?"

Vic non rispose.

"Non è, ehm, molto salutare, lo sai."

"Sì, sì, lo so."

"Non voglio dire questo per sconvolgerti o altro, ma dai, Vic, ora le conosci le donne."

"Sì, le conosco."

"Se vuoi puoi venire a trovarmi al lavoro oggi pomeriggio. Anche Truffles sarà lì e a te piace Truffles."

"Truffles è da queste parti?"

"Sì, Truffles ci sarà."

"Mi deve dei soldi."

"Io sarò in splendida forma verso le dieci o le undici. Ti offro un ballo..." canticchiò dolce e senza fiato.

"Okay, okay, okay. Ci sarò."

"Ah, è cosi bello quando sono gli amici a pagarti l’affitto."

"Aspetta un po’, devo pagare?"

"Okay, il ballo è gratis ma non penso di riuscire a convincere il tipo all’entrata. E’ un vero stronzo."

"Okay. Ne ho abbastanza."

Ginger notò che Vic indietreggiava nel suo piccolo mondo.

"Oh, conosci Tangerine? Quella con il neo? Quella con le aureole fuori posto?"

"Oh, sì, Tangerine."

"Lei ha preso una cosa di questo tipo troppo a cuore e ha lasciato il motore acceso con la porta del garage chiusa. Non voglio dire niente di macabro, ma... ce ne SARANNO degli altri."

"Hai qualcuno in questi giorni?"

"Nessuno di cui parlare veramente. Tutti vengono e vanno. C’è questo tipo che continua a ritornare, però. E’ sempre lì a leggere, così questa sera ho pensato che gli vado vicino e gli chiedo cosa sta leggendo. Chissà, potrebbe essere Flannery O’Connor per quanto ne so io."

"Sicuro." disse Vic a fatica.

"Senti, se hai bisogno di un posto dove stare per un po’, qui c’è un sacco di spazio."

"Grazie. Potrei prenderti sul serio."

"Lo sai vero, che mi sei mancato."

"Si, anche tu mi sei mancata."

"Mi immagino spesso di quando infine ti degnerai di portare la tua tazza disgustosa da queste parti... ma, non è per questo che resto senza fiato."

"E’ da quando hai fatto il fischio dell’ombelico che non ti vedo trattenere il respiro."

"Lo uso ora. Scende abbastanza bene quando è giunto il momento di chiudere. Certo non ti danno la mancia per niente e a volte ci si deve proprio incurvare all’indietro, ma che mi importa. Mi sono iscritta a un corso di danza dell’ombelico, come in Medio Oriente. Quello autentico. E’ assai più difficile di quello che sembra."

"Ah, niente in confronto a quello che puoi fare."

"Si, probabilmente hai ragione. Ma mi diverto. C’è questa ragazza del corso che mi fa schiantare. Meesha. E’ francese; cresciuta lì e tutto, ed è proprio divertente quando cerca di dare la caccia ai ragazzi. Le ho trovato un posto al Razzmatazz e cerca di conquistare i ragazzi mentre balla, e loro pensano faccia parte dello spettacolo fino a quando non li lascia in pace e, naturalmente, vanno fuori di testa e di corsa in bagno. E dice sempre, ‘Che cosa ho detto? Che cosa ho detto?’ perché non ha ancora TUTTA la lingua bene inserita. Un tipo in effetti ha fatto a pezzi i documenti del divorzio proprio di fronte a lei. E’ un urlo, lo è davvero."

"Sembra divertente." fece Vic con gli occhi nel vuoto.

"Oh, Vic... Ma quando ti sveglierai?"

"Mi ha dato il suo San Cristoforo, va bene?"

"Ma tu già ne hai uno, non e vero?"

"No, non è quello, è che..."

Ginger si avvicinò a Vic per abbracciarlo e senti un rigonfiamento nei pantaloni e iniziò a giocarci.

"No, non farlo."

"Va bene. Vuoi del caffè?"

"No, non ho bisogno di caffè, ma ho bisogno di usare il telefono."

"Stai già per CHIAMARLA, è questo quello che vuoi fare?"

"No, no davvero. Devo vedere se hanno accettato la liquidazione dell’assicurazione."

"Che liquidazione è questa?"

"Un incidente stradale nel quale sono stato coinvolto circa due anni e mezzo fa. Charles e io eravamo in macchina giù per la 45esima e stavamo per girare a destra nella Ave quando questo camion Mercedes enorme nel mezzo della strada decide pure lui di girare a destra. Si è incastrato giusto sopra la macchina di Charles e ci ha spinti sul marciapiede e ha continuato ad andare. Naturalmente, avevamo tonnellate di testimoni, incluso il presidente dell’Assicurazione Safeco che ha visto tutto e ci ha dato il suo biglietto da visita. Il conducente del camion ha negato il fatto dall’a alla zeta ed ecco perché hanno bisogno di tanto tempo. Noi lo abbiamo citato in giudizio e lui ha citato noi, è quindi una questione di tempo, davvero. Charles ed io abbiamo dovuto andare da un fisioterapista per un paio di mesi, per un ammontare di un paio di migliaio di dollari."

Vic parlò all’assistente del suo avvocato per alcuni minuti che gli disse che non c’erano novità per nessuno ma che qualcosa sarebbe presto accaduto. Una risposta che Vic aveva sentito ripetuta negli ultimi due anni e mezzo.

Ginger ritornò in cucina per preparare il caffè e finire la colazione.

"GINGER!"

"VIC!"

"Oh, niente."

"Sì, giusto. Allora, quando ci sposiamo, Vic?"

"Non lo so. Cosa fai domani?"

"Brutta giornata. Devo dare una mano al Planned Parenthood domani. Un tipo delle scuole superiori ha chiesto una specie di spettacolo-lezione e un mio amico che lavora per loro vuole vada a parlare alle ragazze del, ehm, vantaggio economico di essere o di non essere una ballerina e tutto il resto."

"Be’, allora significa che è già stato deciso altrimenti."

"Proprio."

"Di’, che progetti hai per oggi?"

"Ho da fare delle commissioni. Devo controllare delle cose."

"Si, anch’io devo fare delle cose. Infatti, perché sto ancora facendo il caffè? Devo essere da qualche parte appena ho buttato giù questa carne. Davvero vieni questa sera." disse tra morsi di cibo e sorsi di caffè. Lo prometti?"

"Si, va bene; sarò li."

Gingersnap e Vic si scambiarono abbracci e baci mentre lei lo buttava fuori dalla porta.

"Adios."

 

Estrelica e Vic, Capitolo 11

Baby, per favore non andartene