Linee in corsivo di Rimbaud

Di Yves Jaques

 

 

LOCUZIONI

(…un frammento di)

 

Quando il mondo sarà ridotto a un’unica selva buia

ai nostri quattro occhi in meraviglia,

a una spiaggia per due bambini fedeli,

ti incontrerò.

 

Allora non vi sarà quaggiù che un solo vecchio,

tranquillo e bello,

circondato da un lusso inimmaginabile,

E mi inginocchierò ai tuoi piedi.

 

Per aver compreso tutti i tuoi ricordi,

poiché sono colei che sa come legarti sia la mano che il piede,

ti strangolerò

***

Quando siamo molto forti, chi tira indietro?

Molto felici, che c’importa del ridicolo?

Quando siamo molto cattivi, che ne faranno di noi?

Alzatevi, ballate, ridete.

Mai sono riuscito a gettare l’Amore dalla finestra.

 

--Arthur Rimbaud (traduzione

di Yves Jaques)

 

"Quando il mondo è ridotto a un’unica selva buia," dice lei. E il brusio dei piccoli animali nel costruire i nidi tra i rami. Le piante si inchinano come fili d’erba, schioccando e ondeggiando nel vento. Una nuova luna per il sonno senza sogni. Orione mette una freccia nell’incavo.

Un uomo e una donna. Una foresta. Un albero. Stendardi indaganti color arancione sono appesi ai lembi. Una buca per il fuoco con lattine bruciacchiate di Budweiser. L’uomo spia il ceppo di un ramo spezzato e lo afferra, arrampicandosi fin dove la corteccia è stata strappata da mani dimenticate, coltelli arrugginiti, un’esplosione di pelle marrone attorno ad ogni iniziale. E il segno dell’uguale. E il verbo "ama".

La donna allunga le braccia circondando l’albero e lo tira verso sé. E’ forte. Oscilla, si piega, il tronco brilla nella notte, le foglie s’increspano come gli aquiloni di Mylar. L’uomo si rannicchia sul limbo, una scimmia comoda, sporca. Un ramo sopra, la mela è appesa al picciolo consunto, gravida e lucida. Lui si tasta il costato alla ricerca della costola mancante. Osservandolo, la donna si tocca con dita sorprese.

L’uomo dice, "Ai nostri quattro occhi in meraviglia," e balza verso il punto focale dello sguardo. Le piante mormorano e convengono, spazzandolo al pavimento della foresta. L’uomo e la donna si osservano l’un l’altra.

"Vedo la pagliuzza nel tuo occhio," lei dice, "e la trave nel mio."

Lui dice: "Vedo un guanciale per riposare il capo."

E pone la testa sul fianco di lei, emettendo l’aria in un unico sospiro. Un animale solitario raglia mentre le piccole cose si raccolgono nei loro nidi. L’albero luccica, la mela vibra.

Con le mani nella folta chioma di lui, la donna dice: "A una spiaggia per due bambini fedeli," e irrompe il suono dei frangenti che baciano le rocce, i piedi di lei sono affossati di una spanna nella sabbia sibilante. La testa di lui sul fianco di lei. L’albero in distanza. Un triciclo arrugginito, la ruota immersa nell’acqua.

La donna quindi lo lascia, attratta dal movimento del mare. Gli uccelli in calata per ondeggiare le creste. I granchi cupi si aprono un varco al bordo della marmitta del mare. Anche lei si trova al bordo della marmitta, ad osservare il sole basso e i suoi raggi sull’acqua. Facendo suonare la trombetta del triciclo, immerge il ventre nell’acqua. Galleggia con i piedi in avanti nella torbida schiuma, il mare la succhia come porcellini attaccati alla scrofa.

L’uomo è ora in piedi, un fico in bocca e il cazzo in mano, piscia una pozzanghera di marea gialla nella sabbia. Schizza un disegno o scrive un nome. C’è della sabbia nella fessura, tra i peli della barba, nel suo sorriso.

Urla al di sopra del cozzare dell’acqua: "A una casa musicale per la nostra chiara compassione."

Le pareti afferrano il cielo; alberi maestri del sole della sera brillano su di loro. Inciampando all’angolo del fiume, l’uomo seleziona in modo attento, poi fa saltare una pietra piatta sull’acqua. Conta i balzi uno due tre quattro fino a quando questa s’acquieta sui ciottoli lisci della riva opposta. Riecheggia un cupo rumore metallico. Una lattina di stagno racchiude il tesoro. I pipistrelli cantano e sbattono le ali dalle caverne in alto mentre l’uomo sta seduto su di un masso tondeggiante, battendosi il torace a forma di barilotto. I pugni serrati ardono. Le unghie bianche. I pipistrelli levandosi in volo perdono dimensione, le loro ali si appoggiano al cielo. Il sole si avvolge nelle nuvole, forgiando ombre sulla luna piena sorgente. L’uomo fa saltare un altro ciottolo.

Alzando cumuli di legname, un ramo spezzato per braccio, la donna colpisce la bocca di una caverna scavata nella parete di un canyon. Una nota si assopisce. Un’altra, lei colpisce la bocca in unisono ora con i ciottoli dell’uomo che balzano avidi. E il vento cala per tubare attraverso il canyon.

"Ti condisco con il sale," lei dice. "Lo lecco sulla tua pelle."

Un sasso si sgretola nella mano dell’uomo, la polvere gli scivola lenta tra le dita, fiumando nel vento, accecando loro gli occhi. Lui si tasta il costato alla ricerca della costola mancante. La donna si tocca con dita sorprese.

"Non vi sarà nulla quaggiù che un solo vecchio, tranquillo e bello, circondato da un lusso inimmaginabile," fa lei, le dita sul petto. Un mocassino d'acqua sivola sulla superfice, scrutando oltre, verso lo scorrimento.

"Ti troverò," afferma la serpe e fa scivolare la sue gambette nervose sulle rocce bagnate. Un protuberanza vicino all’ano si muove lenta in avanti. La mela, il picciolo consunto viene morso, cade dalla bocca del mocassino. L’uomo e la donna sono abbronzati. Sorridono, i denti diritti. Ridendo, la donna raccoglie la mela e la porta alla bocca; i suoi denti fendono la buccia. Ne mangia un pezzo e porge il frutto all’uomo. Lui nota il ventre disteso di lei e ne ingoia un morso.

Afflosciandosi al suolo, svenendo nella polvere, la donna inizia ad abortire; un flusso raggrumato scorre sui massi. Mostra un sasso insanguinato all’uomo. Questi si gratta la barba. Il rumore di una lavatrice, s’ode in lontananza il colpo divisorio di un martello perforatore. L’uomo prende il sasso bagnato. Con questo si recide i riccioli e li getta nel fiume.

"Mi inginocchierò ai tuoi piedi," dice lui. "Ho compreso tutti i tuoi ricordi".

Una piana si apre davanti a loro, steli di frumento piegati dalla brezza. Il sole del centro occidente piove sulla terra piatta. La donna strappa una pannocchia, sfrega la seta dalla carne. Porge la pannocchia all’uomo. Questi, assente, inizia a mangiare, come una mucca il bolo.

Avvolgendolo alla vita e baciandolo svogliata, lei dice: "Sono colei che sa come legarti sia la mano che il piede." Gli steli si dividono nel vento. Un trattore John Deere luccicante giallo e verde sta a ronzare sommessamente, le gomme impresse nel suolo. L’uomo vi si arrampica. Lo sguardo torvo, si accende una sigaretta, dà gas al motore. Il trattore s’avvia; abbatte una fila di spighe lungo il campo pregno d’azoto. Ondeggiando un po’, la donna cammina a buon passo sulle file di grano appena tagliato verso una fattoria pulita rivestita di legno.

Attorno vi è un recinto a picchetti. Nel giardino domina un melo selvatico spoglio. Le iniziali sono incise nel tronco, alla base del quale è accasciato un triciclo arrugginito, un cane abbaia alla porta sul retro, grattando per entrare. E l’uomo è in piedi vicino al cane boccheggiando parole attraverso la finestra.

"Ti strangolerò," lei lo vede dire.

E lei apre la porta per lasciarlo entrare, il cane le saltella appresso e s’infila su per le scale. Le mani dell’uomo si spingono in avanti a formare un circolo imperfetto attorno al collo di lei.

"Quando siamo molto forti," fa lui, "chi tira indietro?" La donna lo afferra per i genitali in una forte morsa da campagnola. Lo accarezza, dice, "E molto felici, che ci importa del ridicolo? Quando siamo molto cattivi, che ne faranno di noi?" Lui lascia cadere una mano sul fianco. Lei lo vede tastarsi di nuovo il costato in cerca della costola mancante e si tocca il petto con dita sorprese. Un movimento, una costola luccica bianca e bagnata nel palmo della mano della donna. La spezza come un osso augurale e gliene porge metà. Lui la prende lento, come un ingoiatore di spade, piccoli pezzi di osso spumoso gli restano sulle labbra.

Il cane si trascina giù dalle scale.

"Alzatevi," fa il cane, e l'uomo e la donna notano che il cane ha del belletto sui fianchi rasati da poco.

"E ballate", dice di nuovo il cane, e l’uomo e la donna vedono il cane alzarsi e ondeggiare sulle sue zampe posteriori. La serpe scivola dalla porta aperta, il ventre teso su zampe di vestigio.

S’innalza dicendo: "Preparatevi e ballate e ridete." Il cane e la serpe iniziano un waltzer attorno all’uomo e alla donna. Sono dei buoni ballerini. L’altra mano dell’uomo scende dal collo della donna alla vita e iniziano a muoversi imitando in modo maldestro la grazia animale.

Attorno a quella che è ora una fattoria distrutta e delapidata, i quattro ballano, i piedi e la coda spaccano le assi del pavimento consunte, balzando da perno a perno. Gli alberelli si spingono attraverso le fessure fresche cercando il cielo, come i roditori che scavano e gli uccelli quando volano ai rami che crescono. Il cane tira fuori dall’orecchio un pezzo di rossetto e scribacchia sulle mura ingiallite, "Mai avrei potuto gettare l’Amore dalla finestra."

E una nuova luna è appesa invisibile nel crepuscolo. E sei lattine si accumulano nel caminetto. Orione scocca la freccia, e il brivido. E ballano.

 

Yves Jaques yjaques@tiscalinet.it